“Meninos de rua”: una folata di speranza al Vecchio Continente

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menorpAveva otto anni quando alzò subito la mano alla domanda della maestra che chiedeva chi volesse seguire le orme di don Bosco: era nella sua vocazione probabilmente spendere la vita per i giovani, soprattutto quelli non amati da nessuno. Parliamo di don Renato Chiera, sacerdote fidei donum della diocesi di Mondovì, che ha fondato nel 1986 la Casa do Menor São Miguel Arcanjo a Miguel Couto, nella periferia di Rio de Janerio. Mercoledì 8 aprile ha salutato il Papa alla fine dell’Udienza generale. “Ho sentito che le parole del Pontefice erano rivolte proprio a noi: ‘È una vergogna che si dica che un bambino è un errore’. Infatti, i bambini sono un dono, ma troppo spesso ce ne dimentichiamo. Dire che un bambino è stato uno sbaglio è un orrore”, spiega al Sir il missionario, in Italia in questi giorni per la tournée europea della compagnia artistica della Casa do Menor.

La Casa do Menor.
È singolare la storia di don Chiera, nato a Villanova Mondovì il 21 luglio 1942 in una famiglia numerosa di contadini. Ordinato sacerdote, il vescovo gli chiede di studiare filosofia per insegnare, ma poi una volta avuta la cattedra, riceve dal vescovo l’incarico di andare in Brasile dove la diocesi di Mondovì ha una missione in un’area povera e molto violenta alla periferia di Rio de Janeiro. È il 1978. Vola a Nova Iguaçu, raggiunge Miguel Couto e nella Baixada viene subito a contatto con la dura realtà locale: “Giravo su un camioncino per far sapere alla gente che c’era lì un prete cattolico, per far sentire l’amore misericordioso di Dio”, dice. Le difficoltà sono tante: in una situazione di povertà estrema e degrado, dove molte famiglie sono frantumate, i ragazzi sono quelli più a rischio. “Un giorno – racconta don Chiera – un ragazzo è stato ferito sulla mia porta di casa. Lo abbiamo curato, ma dopo un po’ di tempo è stato ucciso. Parroco nella culla degli squadroni della morte, ho contato in un mese un grande numero di giovani assassinati. È venuto da me un ragazzo – il primo di una lista di altri 40 che sarebbero stati assassinati, ‘marcados para morrer’ dagli squadroni della morte – e mi ha chiesto di aiutarlo. Ho sentito che la sua richiesta di aiuto era come il grido di Gesù sulla croce. Mi sono chiesto se ero venuto in Brasile per fare il prete ‘becchino’ o per essere Gesù e dare la vita per cercare di salvare i meninos de rua. Ho detto a Dio: io ti voglio servire in quelli che nessuno vuole. È nata così la Casa do Menor”. Il sacerdote accoglie in un garage i 40 ragazzi. Saranno proprio loro a scegliere il nome: “Menor – chiarisce don Renato – in brasiliano non significa solo minore, ma anche disprezzato, che non vale niente”.

Le ferite di chi non è amato.
“In Brasile io ho sentito questa chiamata di Dio a entrare nelle ferite di questi bambini non amati – prosegue il sacerdote fidei donum -. Ma proprio perché questi ragazzi hanno bisogno di amore, ho capito che era necessario aprire case famiglia, dove possono trovare l’amore di un padre e di una madre”. Nel tempo ne sono state aperte 24, ma ora sono diminuite per le crescenti difficoltà economiche e i tagli delle risorse provenienti dalle istituzioni. “La politica del Governo brasiliano è quella di non appoggiare l’accoglienza in istituzioni come le nostre perché sostengono di voler favorire il rientro in famiglia, ma c’è anche un atteggiamento di diffidenza verso ciò che nasce in ambito religioso. Il problema è che ci sono tanti ragazzi che la famiglia non ce l’hanno. In Brasile la famiglia sta subendo grandi attacchi. Anche i media cercano di favorire un’idea diversa di famiglia. In una telenovela addirittura viene raccontato il legame amoroso tra due donne anziane. La legge sul diritto alla convivenza familiare ha stabilito che bambini e ragazzi dovrebbero rimanere nelle nostre case al massimo due anni, ma per tanti in questo modo si riapre la vita in strada e quindi ritorna il pericolo”.

Per un futuro migliore.
Dalla periferia di Rio de Janeiro a Fortaleza, nelle aree più difficili, violente e abbandonate del Paese, oggi la Casa do Menor racchiude una serie di realtà che assistono migliaia di bambini e adolescenti, dal punto di vista del recupero e della prevenzione, privilegiando quelli in stato di totale abbandono, vittime di maltrattamenti, minacciati di morte, coinvolti nel traffico di droga o nella prostituzione. La Casa do Menor ha anche scuole professionali per dare concrete opportunità di riscatto a questi ragazzi. Un grande dramma è quello della tossicodipendenza: “Adesso il Signore mi ha portato nelle ‘Cracolandie’, luoghi di disperazione dove ci sono coloro che sono dipendenti dal crack”, afferma.

Lasciateci sognare.
Con lo spettacolo “Lasciateci sognare”, spiega don Chiera, “i ragazzi di Ru’Art (gruppo di danza teatro e circo della Casa do Menor, ndr) vogliono fare arrivare una ventata di speranza e coraggio in questa Europa, che si sta lasciando inglobare dal pessimismo, sempre più chiusa sui propri problemi, che sta perdendo la capacità di incontrare l’altro, di amare, di tornare a credere in un mondo solidale”. Lo spettacolo rappresenta le ragioni di tanta solitudine, violenza, egoismo e indifferenza che affliggono la società di oggi, con le relative cause: l’eccessivo culto del denaro e del piacere, il narcisismo, la carenza di amore nelle relazioni, a partire da quelle in famiglia. “La riflessione su questi temi vede poi la luce della speranza che un mondo nuovo è possibile – osserva il missionario -, partendo da ciascuno, imparando ad amare il prossimo, prendersene cura, riconoscere l’altro come dono e non come minaccia. Perché come dice Papa Francesco, non dobbiamo lasciarci rubare la speranza”.

Gigliola Alfaro