“Non siamo soddisfatti di questo accordo. Qualcosa è stato fatto, come il finanziamento dell’operazione Triton, ma così non si risolve il problema. Servirebbe un programma a lungo termine, una politica delle migrazioni seria”. Non usa mezzi termini il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti e degli itineranti, per esprimere la sua delusione sul vertice dei leader dell’Unione europea sulle migrazioni che si è svolto ieri a Bruxelles. L’Europa ha triplicato i fondi per l’operazione Triton, da 3 a 9 milioni di euro al mese, ha dato disponibilità di navi e mezzi per pattugliare le acque del Mediterraneo, con possibilità di salvare vite umane, come previsto dal diritto del mare. Ma nessuno ha fatto, al momento, un passo ulteriore in direzione dell’accoglienza. Partirà una sperimentazione, su base volontaria, per l’accoglienza di 5-10 mila persone nei 28 Paesi.
Il punto critico dell’accordo riguarda la ripartizione dell’accoglienza dei profughi nei vari Paesi europei. L’Italia dovrà continuare da sola…
“Perché tutti si rifanno all’accordo di Dublino, secondo il quale il richiedente asilo va accolto nel Paese in cui sbarca e non può andare altrove. L’Europa avrebbe dovuto prendere un po’ più coscienza di questo problema”.
La Gran Bretagna ha risposto con un no secco all’accoglienza…
“Questo è molto egoistico. Tutti sono disposti a dare soldi, basta che non vengano a disturbare nel proprio Paese. Ma non è questa la soluzione”.
Sul fronte della lotta ai trafficanti si vorrebbe tentare di eliminare le imbarcazioni, sotto l’egida dell’Onu, con azioni nei Paesi africani. Cosa ne pensa?
“Bombardare i barconi è un’idea stranissima: ma cosa bombardano? C’è il diritto internazionale! Bombardare in un Paese è un atto di guerra! Poi a cosa mirano? Solo ai piccoli battelli dei migranti? Chi garantisce che quell’arma non uccida anche le persone vicine, oltre a distruggere i barconi? E poi, anche se fossero distrutti tutti i battelli, il problema dei migranti in fuga da conflitti, persecuzioni e miseria continuerà ad esistere. Allora che facciamo? Li lasciamo morire dove sono? È inutile bombardare le imbarcazioni, le persone disperate troveranno sempre sistemi per fuggire: faranno altri barconi, passeranno via terra. Ricordiamoci che la maggior parte dei migranti non arriva dal Mediterraneo ma dalle frontiere terrestri. Finché ci saranno guerra, dittature, terrorismo e miseria ci saranno i profughi, che andranno dove possono andare”.
Allora quali possono essere le soluzioni?
“La mia idea è utopica, quasi impossibile. Combattere contro le cause delle migrazioni, ossia bonificare i Paesi da cui fuggono. Lo sappiamo tutti che le armi vengono dai Paesi sviluppati, compresa l’Italia. Se noi riuscissimo a bonificare questi Paesi non ci sarebbe più la guerra in Siria, la corruzione e le tensioni in Libia, in Medio Oriente, ecc… È chiaro, non sono questioni di facile soluzione, però l’Europa non si è mai data la premura di fare una politica delle migrazioni”.
Eppure per l’Europa la situazione drammatica dei profughi potrebbe essere un’occasione per dimostrare di essere all’altezza del Premio Nobel per la pace ricevuto in passato. Migliaia di morti in mare in pochi giorni è come una guerra…
“L’Europa non ha una politica di integrazione per i migranti. Su 28 Paesi solo 4 o 5 ne accolgono in gran numero. E gli altri che fanno? Non è che se si riceve il Nobel si è santi. Certo, sarebbe un prestigio per l’Europa far vedere che è in grado di risolvere il problema delle migrazioni. Ogni anno si danno miliardi di dollari per armi e opere internazionali, basterebbe molto meno per risolvere la questione migrazioni. Cosa vuole che interessi alla Finlandia e alla Svezia, che pure è generosa perché è il Paese con più migranti in proporzione alla popolazione, se arrivano migranti in Italia? Dobbiamo fare qualcosa, però l’atteggiamento europeo è: vi dò i soldi ma non ci disturbate”.
L’Europa ha perso un po’ la sua anima, la sua umanità?
“Mi chiedo se l’Europa abbia mai avuto un’anima politica. L’Ue è un’unità economica, finanziaria ma non ha una politica estera comune. Quanto conta l’Europa in Medio Oriente o in Africa o in America Latina? Niente. Contano i singoli Paesi: i legami della Spagna con l’America Latina, della Francia con l’Africa o con il Medio Oriente. Come fa un francese, ad esempio, a trovarsi d’accordo con un lituano o un bulgaro? Non è facile fare uno Stato federale quando ogni Stato ha una sua storia. È un progetto bellissimo ed entusiasmante ma mi sembra che oggi sia un’Europa molto egoista, stanca, che ha perso i suoi valori cristiani”.
Patrizia Caiffa