Concluso il Colloquio internazionale “Cristiani in Medio Oriente: quale futuro?”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, alla presenza dei patriarchi delle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Come ha riferito il presidente Marco Impagliazzo è risuonato forte il grido della minoranza cristiana del Medio Oriente rivolto ad un “Occidente, Ue in testa, per troppo tempo indifferente”.
Un piano ecumenico di pace per il Medio Oriente; accompagnare rappresentanti cristiani mediorientali presso le capitali delle grandi potenze mondiali, Mosca, Washington, Bruxelles e New York (Onu) per far udire la loro voce; dare piena cittadinanza ai cristiani rimuovendo dai documenti d’identità ogni riferimento alla fede professata: sono queste alcune delle proposte concrete emerse dal Colloquio internazionale “Cristiani in Medio Oriente: quale futuro?”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio che si è chiuso oggi (30 aprile) a Bari alla presenza dei patriarchi delle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Due giorni di lavori durante i quali, ha riferito il presidente della Comunità, Marco Impagliazzo, è risuonato forte il grido della minoranza cristiana del Medio Oriente rivolto a un “Occidente, Ue in testa, per troppo tempo indifferente”.
“Pilatesca stasi”. A fare paura non è solo lo Stato islamico, con le sue brutali violenze, ma anche l’inazione e l’ignavia della comunità internazionale, la sua incapacità di trovare vie di uscita a vecchi e nuovi conflitti. “Pilatesca stasi” l’ha chiamata Chrisostomos II, arcivescovo ortodosso di Nuova Giustiniana e di tutta Cipro. “Guardiamo con dolore i drammatici fatti che hanno luogo, da molti anni, in Medio Oriente e specialmente nella nostra vicina Siria. Ma se quello che sta accadendo in Siria ci provoca dolore e disgusto, che dire della pilatesca stasi dei potenti della Terra? Cosa dire delle Nazioni Unite, che sono state fondate nel nome della pace e che si vantano della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e della lotta per essi? Rimangono – purtroppo – semplici spettatori di ciò che sta accadendo nei nostri Paesi confinanti”. Come, naturalmente, sono rimaste “semplici spettatori” anche nel 1974, e continuano a rimanere tali ancora oggi a Cipro, dove i turchi “illegalmente occupano il 38% del nostro territorio e un totale di 520 nostre chiese, molte delle quali distrutte”.
La nazione della Croce. “Siamo davanti a una epurazione etnica e culturale: si vuole sradicare dalla carta geografica un popolo e la sua cultura” ha gridato monsignor Yousif Thomas Mirkis, arcivescovo caldeo di Kirkuk (Iraq), ricordando che lo Stato islamico “se la prende con le chiese, con i musei, con tutti coloro che non rientrano nella loro visione dell’Islam. Esiste la volontà di far scomparire i cristiani, “la nazione della croce”. Dopo sette mesi di bombardamenti aerei delle più potenti aviazioni del mondo l’Is non è arretrato, bisognerà trovare altre opzioni”. Nonostante le difficoltà – la Chiesa caldea ha perso 5 diocesi e ha avuto tre vescovi martiri, e centinaia di preti, di religiose e di fedeli colpiti – “siamo giorno e notte occupati ad aiutare i 140mila cristiani sfollati che (come tutte le minoranze) soffrono dell’indifferenza locale, regionale e internazionale. Sono sempre le minoranze e i deboli che pagano le follie dei grandi!”, è stata la triste ammissione dell’arcivescovo caldeo, al quale non manca la speranza: “In questa discesa agli inferi le nostre Chiese devono evitare la dispersione e il ripiegamento su loro stesse ed evitare di cedere ai sogni e alle chimere, non avere paura di guardare la realtà in faccia; l’emigrazione non è l’unica soluzione. Il nostro ruolo è quello di resistere e di servire il nostro Paese al massimo livello”.
“Basta con le teorie”. Mosul, la Piana di Ninive, Ma’loula, Sadad, Al-Qusair, Homs, Kasab e i 23 villaggi del Khabour, ovvero alcuni dei luoghi del massacro cristiano in Siria e Iraq: Ignace Youssif III Younan, patriarca siro-cattolico di Antiochia, li ha citati uno ad uno, per ricordare come i cristiani siano “un bersaglio facile d’intimidazioni abusive, espulsioni selvagge e anche assassinii” in Iraq e nel Medio Oriente. Ciò che sta accadendo, ha rimarcato, è “una macchia vergognosa nella storia delle grandi potenze e una minaccia per tutte le civiltà. Più di 60 chiese, monasteri e istituzioni cristiane, alcune risalenti ai primi secoli della Cristianità e considerate tesori della Mesopotamia, sono state prese, saccheggiate, sconsacrate, distrutte o convertite in moschee”. E oggi, ha detto senza mezzi termini, “a peggiorare la situazione dei cristiani è l’opportunismo ipocrita della politica dei governi occidentali. Questi dovrebbero riconoscere la loro responsabilità come complici delle atrocità commesse dall’islam politico, che ha fomentato una spirale di crisi violente nella regione”. “È triste da dire – ha concluso Youssif III – che nei rapporti con l’islam, l’Occidente non si interessa che a tre elementi: l’Umma, la nazione musulmana estesa dall’Estremo Oriente all’Occidente, i petrodollari dei Paesi del Golfo e lo jihadismo radicale che diffonde il terrore e minaccia popoli e civiltà dell’Occidente! Purtroppo le comunità cristiane del Medio Oriente, non possiedono nessuno di questi tre elementi!”. Per i patriarchi delle Chiese d’Oriente, “il tempo delle teorie è finito. È ora di agire”.
dall’inviato Sir a Bari, Daniele Rocchi