Economia / La rivoluzione delle app: modifica consumi e servizi, ma cancella i lavori tradizionali

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Siamo immersi in una rivoluzione tecnologica: internet sta trasformando la società e, con essa, l’economia. Il salto di qualità c’è stato, pochi anni fa, con il boom degli smartphone, quindi con la radicale facilità di accesso ad internet; e, soprattutto, con le applicazioni per telefonia mobile: le famose app.
Non c’è voluto molto, agli spiriti imprenditoriali di mezzo mondo, per capirne le potenzialità. Con Appun’app si può trovare un automobilista che ti porta dove chiedi, in tempi più rapidi e a minori costi dei taxi (Uber); con un’altra app si può trovare un passaggio automobilistico verso una meta, condividendo le spese di viaggio (BlaBlaCar). Un’altra ancora ti permette di noleggiare un’auto privata aggirando le società apposite; di trovare appartamenti e ville (Airbnb). E ancora: si può cenare a casa di un privato che sa ben armeggiare ai fornelli o che cucinerà qualcosa di particolare; si entra in mercatini internet dove si può comprare o vendere di tutto (dalla primogenita Ebay in giù); si possono acquistare libri (Amazon), elettrodomestici e tecnologia informatica senza passare dai negozi e quindi a costi inferiori. Trovare mete turistiche, accompagnatori, locali in zona, affittare camere di hotel…
Abbiamo citato, nelle righe precedenti, le aziende internet ormai famose a livello planetario, che hanno capitalizzazioni di Borsa più elevate delle compagnie petrolifere. Parliamoci chiaro: è uno tsunami inarrestabile, sono idee o imprese che si stanno diffondendo a macchia d’olio e, soprattutto, con la velocità della luce. Hanno dalla loro due vantaggi: abbattono i tempi e le barriere, abbattono i costi. Per il cittadino-consumatore, una manna.
Il vero problema è che il cittadino-consumatore è pure un lavoratore, nella maggior parte dei casi. Fa il taxista, il ferroviere, l’addetto alle vendite, il commesso, l’operaio metalmeccanico… Insomma, è occupato in quell’economia “tradizionale” che ad esempio forgia acciaio, produce auto, le vende, si occupa dei servizi che la riguardano (noleggio, assicurazioni ecc.). Insomma lavoratori che stanno perdendo posti e guadagni da questa rivoluzione che toglie senso al loro lavoro: perché usare un taxi se Uber me lo aggira in un amen? Perché usare il treno o l’aereo se un autostop on line mi costa 20 volte di meno? Perché andare in negozio a comprare appunto uno smartphone, se un corriere me lo consegnerà in due giorni a casa, ad un prezzo ultracompetitivo?
Già, ma come pagheremo queste grandi occasioni, se non avremo l’occasione di lavorare e guadagnare?
Una società che passa dalla crescita al tirare a campare, dunque. Non mancano già ora le conseguenze clamorose di questa rivoluzione. Se i taxisti di tutto il mondo sono sul piede di guerra contro chi sta cancellando il loro lavoro (e il valore non esiguo delle loro licenze), d’altra parte le Motorizzazioni americane e tedesche stanno registrando un incredibile calo delle nuove patenti: ai ragazzi non interessa più di tanto averla, dopo che già da tempo s’è perso l’interesse ad essere proprietari di un’auto, dato che si può noleggiare ovunque a prezzi irrisori.
Un ben più grande riflesso di questa rivoluzione è la globale contrazione dei salari nel mondo occidentale. Si lavora per cifre sempre più basse, in linea con la caduta del valore di beni e servizi. Un gatto che si morde la coda, e non si farà realmente male fino a quando non avremo dilapidato le fortune accumulate dalle precedenti generazioni.
Nicola Salvagnin
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