I cristiani e l’islam / Il cardinale Tauran: “Non c’è alternativa: o la guerra o il dialogo. Meglio dialogare”

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Il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso partecipa, in Svizzera, all’incontro promosso dalle conferenze episcopali europee. Lamenta la mancanza di orgoglio identitario fra i giovani cristiani che li pone in difficoltà rispetto ai coetanei musulmani, sempre più attratti dal radicalismo. Per loro, invece, è necessario un percorso verso la modernità

L’Europa di fronte al fenomeno di una radicalizzazione del messaggio islamico che fa presa soprattuttocardinale Tauran sui giovanissimi. Scossa nel profondo dagli attentati di Parigi e di Copenaghen. Sempre in allerta, sempre sotto minaccia. Il terrorismo è entrato nelle nostre città diffondendo paura e sfiducia nelle religioni. È questo il contesto europeo su cui vescovi e delegati delle conferenze episcopali europee per le relazioni con i musulmani si stanno confrontando a St. Maurice in Svizzera. Partecipano 35 rappresentanti di diversi Paesi, da Malta alla Gran Bretagna. Tutti impegnati da anni, in prima linea, a tracciare percorsi di dialogo con i fratelli e le sorelle dell’Islam. Un lavoro oggi messo fortemente in discussione in un’Europa dove spesso riecheggia la domanda: ma è ancora possibile il dialogo con l’Islam? Lo chiediamo al cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso che partecipa ai lavori in Svizzera.
Eminenza, lei come risponde?
“Mi chiedono sempre: lei continua a dialogare, ma come fa quando ci sono questi fatti tragici compiuti dall’Isis? E io rispondo sempre: più è difficile, più è necessario il dialogo. Perché non c’è alternativa: o la guerra o il dialogo”.

Perché il fondamentalismo di matrice islamica ha presa sui giovani?
“Io penso che i musulmani siano molto fieri della loro religione mentre noi cristiani abbiamo bisogno di recuperare questo senso profondo della fede nella nostra vita. Penso che il dialogo interreligioso sia un’occasione per approfondire la propria fede, perché in fondo si comincia professando ciò in cui si crede. Non si può imbastire un dialogo sull’ambiguità. Devo dire al mio interlocutore musulmano: ecco, io sono cristiano, credo in Gesù e vivo in conseguenza di questo. E l’indomani l’altro dovrà fare la stessa cosa. Per me il dialogo interreligioso è il rimedio al sincretismo”.

Sta dicendo che i giovani radicalizzati sono andati verso l’islam radicale perché noi cristiani non siamo stati in grado di accogliere la loro richiesta di senso?
“Sì. Mi ricordo di aver visto in una stazione in Francia due giovani che discutevano. Uno era maghrebino, musulmano. Ricordo che aveva occhi di fuoco, una fede e un dinamismo straordinario. L’altro era francese e quando il musulmano gli ha chiesto come fosse possibile per un cristiano credere in un Dio che può avere un figlio e che questo figlio è un uomo, l’altro è stato incapace di rispondere. È stato ovviamente un flash che però indica l’urgenza – messa in evidenza dal grande magistero di Benedetto XVI – di insegnare il contenuto della fede, perché la fede non è un’emozione e Gesù non è un mito. Gesù è vissuto in un periodo della storia e in un preciso angolo della terra. Ed ha parlato”.

E l’Islam, quali passi deve compiere per vincere la sfida della radicalizzazione?
“L’islam deve entrare nella modernità. E penso che ci siano giovani imam in Europa che sono consapevoli della necessità di questo processo. La chiave di volta si trova nella scuola e nella università che svolgono un ruolo fondamentale per dare a tutti gli strumenti necessari, altrimenti saremo sempre sotto l’influenza di questi barbari che non rappresentano l’Islam e snaturano la religione. Alcuni oggi arrivano addirittura a pensare che religione è uguale guerra. E questa è una grande umiliazione per i musulmani. Noi condividiamo la loro sofferenza perché vedere la propria religione così vilipesa, è terribile”.

Quindi si tratta di vincere la sfida del terrorismo anche con la cultura?
“In fondo la grande crisi del mondo di oggi è una crisi della cultura: siamo stati incapaci di trasmettere i valori e quindi abbiamo giovani che sono eredi senza eredità e costruttori senza modelli. Abbiamo il dovere di trasmettere loro il grande patrimonio artistico, letterario, scientifico dell’umanità”.

Il terrorismo è entrato in Europa. Alla gente che ha paura, cosa si sente di dire?
“Prima di tutto direi di non cedere alla paura perché è proprio ciò che vogliono i terroristi. Dobbiamo essere uniti e dare testimonianza di fede, personale e comunitaria, in modo che vedano che i cristiani e i musulmani sono coerenti in ciò che credono. Il bene è sempre contagioso”.

In conclusione, quali sfide si sente di delineare per i credenti in Europa?

“La sfida dell’identità: dobbiamo avere la consapevolezza del contenuto della fede. La sfida dell’alterità: cioè l’altro, anche se diverso da me, non è necessariamente un nemico o un concorrente, ma un fratello e una sorella, che come me sono pellegrini verso Dio. E infine la sfida del pluralismo che significa accettare che Dio è al lavoro in ogni essere umano. In fondo si tratta di accettare che Dio è un partner molto più potente di noi”.

dall’inviata Sir in Svizzera, Maria Chiara Biagioni
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