Babele o Pentecoste. Costruire una città e una torre per raggiungere il cielo, con il risultato che l’orgoglio proprio mentre tentava di unire i popoli creava invece dispersione. Metafora della nostra esistenza, di popoli sulla terra spesso divisi tra loro e in lotta, preoccupati di cogliere non ciò che unisce ma di sottolineare quanto divide; attenti più al proprio interesse che al bene comune. La Pentecoste mette fine a Babele, è il tempo nuovo della comunione e della fraternità; è il miracolo delle lingue udite e comprese da tutti, è lo Spirito che mette in comunione Dio con gli uomini, unità che non esclude le diversità ma queste diventano motivo di arricchimento.
Pentecoste. Sono passati cinquanta giorni dalla Pasqua e i seguaci di Gesù, cioè i dodici con il gruppo dei discepoli, Maria e le altre donne, sono riuniti nel Cenacolo, come abitualmente facevano: per pregare e ascoltare le scritture. Erano dunque riuniti quando “venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso […] Apparvero loro lingue come di fuoco”. Afferma Papa Francesco al Regina coeli: “da questa effusione i discepoli vengono completamente trasformati: alla paura subentra il coraggio, la chiusura cede il posto all’annuncio e ogni dubbio viene scacciato dalla fede piena d’amore. È il ‘battesimo’ della chiesa, che iniziava così il suo cammino nella storia, guidata dalla forza dello Spirito Santo”.
L’immagine del terremoto è segno che accompagna nella Bibbia l’avvento di Dio: fuoco e tremore del monte nel giorno in cui Dio dona la legge al suo popolo. E Pentecoste, per il popolo di Israele, è proprio memoria di quel giorno, festa dell’alleanza con Dio.
Per i discepoli riuniti nel Cenacolo la Pentecoste è la nuova alleanza con il Signore; è il terremoto interiore che cambia la loro vita. E la porta chiusa del Cenacolo – sbarrata per cinquanta giorni per la “paura dei giudei” – si apre: è la chiesa in uscita, diremmo oggi con le parole di Papa Francesco. La chiesa che va incontro al mondo, che parla la lingua delle donne e degli uomini che incontra sulla sua strada. “Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea…” è lungo l’elenco che negli Atti degli Apostoli l’autore, la tradizione più antica lo identifica in Luca, mette in evidenza, proprio a significare la grande diversità di culture, lingue e tradizioni presenti in Gerusalemme.
Diverse le lingue, la cultura, la storia, dunque, ma tutto questo non è annullato nell’incontro con la chiesa di Cristo, è una unità attorno alla Parola, pur nella diversità, nella molteplicità. È il messaggio che con forza il Concilio ecumenico Vaticano II rilancia nel mondo e che Giovanni XXIII riassume con una immagine, la sera dell’11 ottobre 1962, in quel celebre discorso alla luna: “cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una sola, ma riassume le voci del mondo; e qui di fatto il mondo è rappresentato”.
Il dono dello Spirito, afferma Francesco al Regina coeli, “ristabilisce l’armonia delle lingue che era andata perduta a Babele e prefigura la dimensione universale della missione degli Apostoli. La Chiesa non nasce isolata, nasce universale, una, cattolica, con una identità precisa ma aperta a tutti, non chiusa, un’identità che abbraccia il mondo intero, senza escludere nessuno. A nessuno la madre Chiesa chiude la porta in faccia, a nessuno! Neppure al più peccatore, a nessuno”.
Pentecoste, dice Francesco, è “la fiamma dell’amore che brucia ogni asprezza”, è “la lingua del Vangelo che varca i confini posti dagli uomini e tocca i cuori della moltitudine, senza distinzione di lingua, razza o nazionalità”. Come leggiamo nella “Lumen fidei”, l’enciclica scritta a quattro mani da Benedetto XVI e Papa Bergoglio, se la verità è quella “dell’amore di Dio, allora non si impone con la violenza, non schiaccia il singolo”. Non è “l’imposizione intransigente dei totalitarismi”, al contrario la verità “rende umili e porta alla convivenza e al rispetto dell’altro”; porta “al dialogo in tutti i campi”. Anche in quello ecumenico.
Fabio Zavattaro