Economia / Ogm? Io non vedo rischi. Una visione realistica dei vantaggi per l’intera umanità

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Se l’agricoltura e l’alimentazione sono i leit motiv dell’Expo milanese, sarebbe interessante una discussione intelligente e “internazionale” sul tema degli organismi geneticamente modificati, i famigerati Ogm. Famigerati perché in Italia sono completamente demonizzati: sulle etichette dei cibi ci si vanta di essere “Ogm free”, senza insomma quegli intrugli o quei mostri che chissà cosa provocano alla salute di chi mangia. ogm
Nulla, provocano. Perché l’opinione pubblica s’è convinta che tali “organismi” provochino chissà quali mutazioni genetiche in chi li ingerisce, mentre si tratta di banali selezioni genetiche degli ortaggi o delle specie animali allevate. Come da sempre l’uomo fa: non esiste più in natura il tipo di grano selvatico i cui chicchi l’uomo iniziò a raccogliere e pestare per ricavarne la farina. I pometti selvatici si sono trasformati in succulente mele; molte varietà coltivate sono diventate resistenti a certi parassiti o malattie… Le carote sono diventate arancioni alcuni secoli fa, quando i coltivatori olandesi riuscirono a trasformare questi ortaggi da scuri ad arancioni, in onore del loro colore nazionale: cibo Ogm molto salutare.
Ma potremmo continuare all’infinito: abbiamo selezionato varietà di uva da tavola che coprono il mercato da giugno a dicembre (in Europa); arance che vanno da novembre a luglio; razze bovine dalle incredibili capacità di fornire latte, o di dare carne eccellente; pecore dal vello pregiatissimo e così via. Non si stava meglio quando si stava peggio.
Insomma la storia dell’uomo è quella di continui successi sul fronte della coltivazione di specie vegetali e dell’allevamento di quelle animali, per avere a disposizione cibo più abbondante, salubre, resistente. Adesso siamo di fronte a sviluppi scientifici che permettono risultati ancora più sorprendenti: si pensi alla modifica di geni che ritardino il deperimento di un ortaggio maturo, e quindi la sua naturale conservabilità. Questo progresso scientifico, di cui noi italiani eravamo all’avanguardia molto tempo fa, è ora totalmente bloccato proprio in Italia (non nel resto del mondo). Una posizione conservatrice che non si capisce quali vantaggi arrechi a noi italiani. Gli svantaggi, invece, si vedono tutti: a cominciare dal fatto che ci dovremo affidare ad altri per progredire come gli altri.
Siamo quindi nel campo ideologico, come spesso accade in Italia. Quando qui parte un mantra, il mainstream mediatico lo rende irresistibile. Si pensi al “km zero”: quindi le nostre pregiatissime mele, il prosciutto crudo di Parma, il Parmigiano sono delle orrende ciofeche che fanno male alla salute, quando valicano con successo i confini patrii perdendo il connotato di km zero?
Si dice: se si “apre” agli Ogm, diventeremo tutti sudditi di due-tre multinazionali delle sementi. Al di là del fatto che nessuno obbliga nessuno a coltivare quel tipo di mais rispetto ad un altro, saremmo tutti sudditi di un’azienda farmaceutica, se questa brevetta un farmaco anti-tumorale e lo mette in commercio? Quindi niente farmaco? Perché invece non si sottolinea che il miglioramento delle varietà genetiche – si pensi a vegetali che necessitino di molta meno acqua per maturare e ai cronici problemi dei coltivatori del Sahel – appunto è un grande progresso per chi il cibo non lo butta, ma se ne serve per campare?

Nicola Salvagnin

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