Società / Fare molto con poco. Questo il destino degli enti locali alle prese col welfare

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Sull’attuale situazione delle politiche sociali ci sono pregiudizi da sfatare e idee da confermare. Allo welfarescopo va considerato l’impegno degli enti locali con risorse esigue, la decisione politica di ripartizione delle spese e il ruolo attivo del Terzo settore; in questo modo potremmo capire dove gli interventi e servizi sociali si indirizzano e quale peso abbiano realisticamente.
Una rilevazione del Censis su “Il sociale da salvare” mostra il punto della situazione. Dall’osservazione dei dati un primo pregiudizio svelato è sulla ripartizione delle spese verso i più deboli: è vero che il finanziamento del welfare state è ritoccato al ribasso, però mentre la vulgata politica racconta dei tanti soldi spesi per l’immigrazione ci accorgiamo poi che le voci di spesa dei singoli Comuni dicono che per immigrati e nomadi è impiegato appena il 2,7% del budget dedicato alle politiche sociali, mentre il 40% è utilizzato per le famiglie e minori, il 23% per i disabili e il 19,8% per gli anziani. Un secondo pregiudizio lo smascheriamo nei rapporti Nord Sud: considerando quanto spendono i diversi comuni ci accorgiamo che per il welfare locale si investe nel Nord Ovest 128,9 euro pro-capite oppure 159,4 euro nel Nord Est, mentre appena 50,3 euro a persona nel Sud: ne deriva che la scarsa assistenza del Meridione non è da attribuire esclusivamente alla scarsa efficienza, ma anche alla minore capacità economica degli enti pubblici.
Tra le idee da confermare c’è l’emersione del forte ruolo del no profit, ormai una componente fondamentale del modello di welfare. Si rileva nel report che molte esperienze si caratterizzano per immediatezza e tempestività. Molto importante risulta il numero delle realtà di Terzo settore impegnate. Certo però anche qui va osservata la differenza strutturale tra le regioni: il rapporto tra numero di associazioni e abitanti, mentre in Piemonte o in Veneto è di 59 ogni 10mila abitanti, in Sicilia raggiunge le 39 per 10mila, in Campania 25. Infine, in un contesto di continua riduzione delle spese sul welfare e di incertezza rispetto al futuro, la tendenza nelle amministrazioni è di mantenere il coordinamento delle politiche, ma delegare il servizio a realtà più agili e flessibili, oltre che più economiche.
Così per valutare le politiche è importante capire le condizioni in cui operano i soggetti no profit attivi nel sociale. Esse sono variegate a seconda dei territori e dipendono sia dalle risorse concrete di una specifica comunità, sia dall’indirizzo che scelgono gli enti locali, ai quali è attribuita la responsabilità dell’erogazione dei diversi servizi. Certo questo origina disparità di trattamento tra i cittadini oltre che problemi amministrativi e burocratici specialmente alle realtà meno strutturate e organizzate.

Andrea Casavecchia

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