Società / Stare insieme, separatamente. Non si vive sotto lo stesso tetto, ma in futuro chissà…

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Vivere insieme per una giovane coppia pare più complicato che in passato, perché la progettualità e lafidap prospettiva di una vita insieme sono messe in discussione. Così le forme della vita a due sembrano moltiplicarsi e appaiono più fluide.
Da qualche anno gli studiosi parlano di una forma innovativa dello “stare insieme” il Lat – un acronimo che sta per “living apart togheter” – che tradotto letteralmente significa vivere separati insieme. Sarebbe, per alcuni, una nuova modalità di esprimere la vita affettiva che descriverebbe le trasformazioni dell’intimità e tradurrebbe in pratica l’idea dell’amore liquido, sulla base del quale i partner costruirebbero una relazione basata esclusivamente sul presente, slegata da vincoli e continuamente aperta e in discussione.
Sono interessanti i risultati di una ricerca inglese, pubblicata su “TheSociologicalreview” e svolta proprio lì dove la forma innovativa è stata per le prime volte osservata, ovvero il Regno Unito.
I ricercatori si sono interrogati sulle effettive motivazioni della scelta del Lat e le sorprese non sono poche. È stato chiesto alle donne di giustificare la loro scelta, partendo dal presupposto che fosse una strategia per rimanere indipendenti e non subire i carichi dei compiti di cura che la disparità tra i partner di una convivenza tradizionale comporta.
Sono emerse tre ragioni fondamentali che fondano lo “stare insieme separatamente”. La prima descritta è la costrizione, poiché la scelta delle donne è condizionata dall’impossibilità di vivere insieme: lavorare in località differenti, non avere il consenso delle famiglie di origine (accade ancora questo) ad esempio. La seconda ragione è strategica. La scelta sarebbe infatti condizionata dalla volontà di mantenere lo spazio di indipendenza. La terza ragione è la vulnerabilità. In questo gruppo i ricercatori inseriscono le donne che vorrebbero vivere insieme ai loro partner ma pensano che l’attuale condizione sia per ora quella opportuna: quelle che hanno timori legati alla sostenibilità economico finanziaria di una convivenza oppure alcune che invece – vivendo con figli nati da una prima relazione – non trovano corretto vivere con l’attuale partner.
Sottolinea Simon Duncan che in tutti e tre i raggruppamenti il punto di riferimento per valutare la propria relazione rimane la coppia (convivente o sposata, ed eventualmente con figli) e che sono poche le coppie che escludono a priori la possibilità di sposarsi o, almeno in un giorno futuro, di vivere sotto lo stesso tetto. Dopo una simile analisi la nuova forma che dovrebbe simboleggiare l’amore liquido ne esce notevolmente ridimensionata.
Scopriamo che costruire una famiglia rimane un’aspirazione per moltissime persone, purtroppo ancora non riusciamo a eliminare i tanti ostacoli strutturali perché questi giovani possano tradurre un loro desiderio in un progetto concreto. Così per coltivare un amore finiscono per adattarsi.

Andrea Casavecchia