Ipocrisia. Il Vangelo di questa domenica ci mette di fronte all’ipocrisia di chi – scribi e farisei – è più attento alle regole che alla parola; capace di fare le bucce in nome di un rigore che nulla a che fare con l’accoglienza dell’altro. “Invano mi rendono culto, insegnano dottrine che sono precetti degli uomini”, abbiamo ascoltato nel testo di Marco, che avevamo lasciato cinque domeniche fa per riflettere sulle pagine di Giovanni. Avevamo riflettuto sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci, abbiamo poi imparato che è lui, il Signore, il pane di vita eterna. Questa domenica lo troviamo in una disputa con scribi e farisei. Osservano la legge, i precetti, dal lavarsi le mani prima di mangiare – è proprio dal fatto che alcuni discepoli del Signore avevano toccato cibo senza aver passato le mani nell’acqua che ha avuto inizio il dialogo – ad altri oltre 600 precetti voluti dall’uomo. A loro Gesù risponde con le parole del profeta Isaia: “questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi adorano, insegnano dottrine che sono solo precetti umani”. Una risposta dura, che mette subito in discussione la logica del “politicamente corretto” per andare alla radice della fede, per mettere in guardia da una esteriorità fatta spesso di compromessi. Gesù ha percorso le strade di Galilea, ha incontrato una umanità sofferente, ha visto poveri, guarito malati; il suo mantello è stato sfiorato da persone ferite, disperate. E di fronte a tutto questo, l’unica preoccupazione che gli viene rivolta è quella del lavarsi le mani prima di mangiare. Lo stesso gesto che compirà in seguito Pilato.
Ma si badi bene, in Gesù non c’è alcuna volontà di mettere in discussione la legge, la tradizione, ma queste vanno accolte nella loro essenza, senza le sovrastrutture poste dall’uomo. Gesù, dice Papa Francesco all’Angelus, “vuole mettere in guardia anche noi, oggi, dal ritenere che l’osservanza esteriore della legge sia sufficiente per essere buoni cristiani. Come allora per i farisei, esiste anche per noi il pericolo di considerarci a posto o, peggio, migliori degli altri per il solo fatto di osservare delle regole, delle usanze, anche se non amiamo il prossimo, siamo duri di cuore, siamo superbi, orgogliosi. L’osservanza letterale dei precetti è qualcosa di sterile se non cambia il cuore e non si traduce in atteggiamenti concreti”. Ed è in sintonia con queste parole, l’invito del Papa a guardare a situazioni di sofferenza, a tragedie che si consumano non lontano dalle nostre case: come le persecuzioni verso i cristiani in Medio Oriente e in altre parti del mondo: “ci sono più martiri che non nei primi secoli” ricorda Francesco nel post Angelus, che chiede a legislatori e governanti di assicurare ovunque la libertà religiosa e alla comunità internazionale “di fare qualcosa perché si ponga fine alle violenze e ai soprusi”. O come le morti in Mediterraneo, diventato un “cimitero liquido” per moltissimi migranti che hanno perso la vita nella ricerca di un futuro migliore per loro e per i loro figli.
Nella mente del Papa le settantuno vittime, tra cui quattro bambini, trovate in un camion sull’autostrada che da Budapest porta a Vienna. Mentre la comunità internazionale fa fatica a trovare una risposta adeguata a questa tragedia, mentre ci si interroga sulle strategie da mettere in atto, e c’è chi guarda con fastidio a queste persone che fuggono da conflitti, violenze, guerre e miseria, Papa Francesco invita alla preghiera, all’accoglienza. Chiede di trovare strade per impedire questi crimini, “che offendono l’intera famiglia umana”. È ancora Francesco a ricordare che l’osservanza letterale dei precetti “è qualcosa di sterile se non cambia il cuore e non si traduce in atteggiamenti concreti: aprirsi all’incontro con Dio e alla sua Parola nella preghiera, ricercare la giustizia e la pace, soccorrere i poveri, i deboli, gli oppressi”.
Il grande pericolo, per i credenti di ogni tempo, è di vivere una religione fatta di pratiche esteriori, di formule recitate solo con le labbra. È l’ipocrisia di un rapporto solo esteriore con Dio. Il male, l’impurità – scrive Enzo Bianchi – sta dove manca l’amore.
Fabio Zavattaro