A fine agosto Mark Zuckerberg , con grandissima soddisfazione, ha dato la notizia che ammontano a un
miliardo gli “amici” interconnessi via Facebook: un abitante su sette di questa nostra Terra.
La letteratura su Facebook è sconfinata, è un fenomeno da tempo seguito con grandi aspettative e con altrettanto grandi interrogativi.
A un’euforia dilagante si contrappone un timore che non si contrappone allo sviluppo delle nuove tecnologie ma semplicemente diventa domanda sulla qualità del pensiero, sulla qualità della vita, sulla qualità dell’umanità.
Non si tratta di fermarsi al confronto tra connessioni e relazioni e neppure si tratta di mettere fuori tema la reciproca fecondità delle due forme di comunicazione.
Si tratta di chiedersi quale significato abbia la parola “amicizia” che, ripetuta all’infinito nel linguaggio on line, appartiene ancora al vocabolario della famiglia, della società, della scuola, della stessa comunità dei credenti.
In che misura le fondamenta intensamente umane, quindi anche spirituali, dell’amicizia possono reggere all’urto di un social network che pur nella sua frequente superficialità, afferma un analista qual è Gianluca Nicoletti, “è oggi a tutti gli effetti una religione sommersa. Un culto che prevede una rigorosa liturgia collettiva”?
È una domanda che rimane aperta e che invita ad approfondire la conoscenza del fenomeno per comprendere il più possibile a quale “uomo nuovo” intende portare, a quale spazio di libertà e di responsabilità conduce gli innumerevoli “amici” incollati al maxi o al micro video.
La domanda si rafforza anche perché, aggiunge Nicoletti, “il social network ci promette eternità in cambio di una parte importante del nostro tempo, da impiegare nel travaso quotidiano di frammenti del nostro vivere nei suoi capaci server”.
È una riflessione che merita un approfondimento perché il dialogo tra il tempo e l’eternità è il dialogo che distingue l’essere umano da qualsiasi essere vivente.
Un dialogo che può mettere a rischio gli interessi di qualcuno che, per difenderli, sottrae tempo, sempre più tempo all’”amico”, perché ha capito che questo bene prezioso qualora venisse ritrovato restituirebbe alla parola “amicizia” il significato autentico.
Il tempo, questo bene prezioso, qualora venisse ritrovato porterebbe a pensare, porterebbe a capire l’urgenza di dare uno spessore diverso a quella parola.
È bene tuttavia riconoscere ciò che di positivo e di buono è in Facebook ma nello stesso tempo occorre vigilare perché chi chiama “amici” tutti i connessi non abbassi il livello culturale ed etico di un binomio inscindibile sui cui si fonda l’amicizia: la libertà e la responsabilità.
Il dibattito è aperto e l’immenso cortile di Facebook offre l’occasione per offrire un contributo di chiarezza in un vocabolario che riporta termini come, salvare, convertire, mettere in memoria, creare amicizie…
Ai bordi dell’immenso cortile si affollano miliardi di persone in cerca di un futuro fatto di relazioni, di volti, di gesti di giustizia e di solidarietà.
Festeggiare un miliardo di “amici” può prendere un altro sapore se non sarà solo autogratificazione della tecnologia, se non sarà solo un successo economico. Può prendere un altro spessore se la stessa tecnologia sarà alleata fedele dell’uomo nel suo impegno per la verità, la bellezza, la bontà. Può prendere un altro spessore se “amici” saranno anche gli altri sei miliardi di uomini: compresi i milioni di uomini e donne che soffrono e muoiono per la fame, la guerra, l’inimicizia.