Lo sono perché dimorano nel Dio Vivente. Sono partecipi della sua vita, di quel mistero trinitario che sfugge alla nostra razionalità ma ci è rivelato in dono gratuito di fede. Quella corrente d’amore fra Padre, Figlio e Spirito Santo che fluisce fuori dal tempo e dalla storia e che ci sarà svelata quando anche noi trapasseremo da vivi a viventi
Scaramanzia o rimozione di timori dichiarati o inconsci e, per ciò stesso, ingovernabili? Perché il 2 novembre i cimiteri si affollano? Il culto e il rispetto per i morti è insito in ogni civiltà che tale voglia dirsi e non sia soltanto un branco o un’accozzaglia di individui bruti.
Le modalità del ricordo o della memoria sono ben diverse e caratterizzano i diversi nuclei sociali richiedendo una prassi che, spesso, deve essere rispettata a puntino. Il culto degli antenati ci parla della nostra genesi storica, del divenire della nostra famiglia, in fin dei conti di noi stessi con tutto il cumulo di dna che ci ritroviamo alla nascita e che apprendiamo a gestire nell’esistenza. Il ricordo ritmato da gesti apotropaici, dall’offerta di cibo sul luogo della sepoltura, dal bruciare incenso o dall’offrire fiori, è sempre stato considerato un gesto pio, degno di persone che tali desiderino essere considerate.
I mausolei ci parlano di personaggi che nella storia hanno lasciato una traccia, forse anche positiva, mentre i cimiteri celebri sono luoghi visitatissimi per portarsi sulla tomba di quell’illustre che, nella nostra vita e nella nostra cultura, ha lasciato un segno.
Il passaggio però da ricordo, per quanto vivo, a memoria dovrebbe investire il nostro animo e dargli un’altra spinta, aprirlo a uno sguardo diverso.
Portiamoci alla tomba di chi ci ha lasciato, orniamola di fiori oppure, come usano gli ebrei, lasciamoci sopra un sasso. Sostiamo dialogando con il o la defunta ma tutto si riduce a un monologo o a un rimpianto nostalgico.
Il passo da muovere è altro: indubbiamente ci troviamo dinanzi a delle spoglie ma lo sguardo del credente può forare l’impressione reale e giungere fino a chiedersi: dove si trova chi mi ha lasciato, come vive la dimensione che io non conosco ancora ma che, prima o poi, certamente mi attende?
Se la nostra esperienza di Dio è autentica, allora chi ci ha lasciato è vivente. Certamente non vivo nel senso che si possa toccare, vedere, respirare proprio come me, ma vivente nel senso che la sua dimensione è quella eterna che non muta.
Non il sonno eterno – tutto sommato molto inconcludente e noioso – ma partecipe di quella peculiarità del sonno che ci parla di pace ottenuta, di riposo privo di affanni. Non muta perché non si può tornare indietro, non si possono riprendere i parametri noti fin dall’infanzia che costituiscono la dinamica personale e sociale.
Il non mutare potrebbe essere apparentato ad una stasi? Ad un livello raggiunto e quindi immobile, circoscritto, finito? Sarebbe davvero angoscioso pensarci così! Finiti a tal punto che ormai tutto è irrimediabile e il nostro eros, la nostra capacità di energia che ci anima, ormai ridotta a zero.
Se, tutti quelli che ci hanno preceduto sono viventi, lo sono perché dimorano nel Dio Vivente. Sono partecipi della sua vita, di quel mistero trinitario che sfugge alla nostra razionalità ma ci è rivelato in dono gratuito di fede. Quella corrente d’amore fra Padre, Figlio e Spirito Santo che fluisce fuori dal tempo e dalla storia e che ci sarà svelata quando anche noi trapasseremo da vivi a viventi.
Per fede sappiamo che siamo stati creati e che la Trinità dimora in noi e non saremo consegnati al nulla, anche se ritorneremo a quella terra da cui siamo stati tratti. Il soffio però che in quel giorno creatore ci è stato donato, entrerà in quel mistero trinitario per dimorarvi.
Non è una costruzione arzigogolata, pensata ad arte per eliminare il timore della fine e neppure un succedaneo alla nostra esperienza vitale.
È una partecipazione nuova, inedita, ad un Amore più grande, Infinito, che però si china su tutte le persone vive e le segue con sguardo di Padre. Chi è in Lui, insieme con il Figlio e lo Spirito, ormai condivide il soffio, è vivente e poggia il suo sguardo su tutti quelli che gli sono stati vicini e ha amato, prediletto. È pronto ad entrare nel loro ciclo vitale affiancandosi al loro passo, a rendersi partecipe di ogni gioia e di ogni sofferenza, indirizzando tutto verso quel traguardo in cui la vita troverà la completezza ed entrerà nel talamo di quell’Amore che mai si esaurirà.
Allora non guardiamo ai cadaveri, non guardiamo alle tombe, guardiamo piuttosto ai nostri viventi che ci stanno sempre accanto e ci aiutano a rendere trasparente il nostro sguardo. Non accontentiamoci di gesti usuali ma carichiamoli di un altro significato: andiamo ai nostri viventi e lasciamoci trasportare più in là della lastra tombale, più in là dell’apparenza. Nel Soffio.
Cristiana Dobner