Una sala gremita, un pubblico attento, pronto ad ascoltare un racconto che non è frutto della fantasia di un bravo scrittore ma è uno spaccato della nostra realtà. Il dottore Sebastiano Ardita presentando il suo ultimo libro dal titolo “Catania bene”, ad Acireale, nella sala conferenze della banca Agricola popolare di Ragusa, ha messo in evidenza come il fenomeno mafia purtroppo è saldamente legato alla società catanese e a tutto il territorio nazionale. L’evento, organizzato dal “Cine foto club” di Acireale, ha visto la presenza, oltre che dell’autore, anche del presidente del sodalizio Salvatore Consoli, del direttore Gaetano Pulvirenti e del dottore Salvo Noè, cultore di psicologia sociale giuridica e criminologica presso l’università Kore di Enna.
Sebastiano Ardita, attualmente procuratore aggiunto presso il tribunale di Messina, ha iniziato la sua attività in magistratura proprio a Catania, la sua città, divenendo componente della Direzione Distrettuale Antimafia.
Il libro è il racconto attento e minuzioso della mafia degli anni ’80, fino ai tempi più recenti; sono gli anni in cui il giovane magistrato si trova faccia a faccia con la mafia catanese, la criminalità organizzata e le inchieste mafiose negli appalti pubblici e nelle forniture. Da quegli anni ‘80 emerge la figura di un giovane e rampante imprenditore, Nitto Santapaola, che ben presto diventerà una delle figure di spicco della mafia catanese.
I racconti vanno avanti, il pubblico è attento e ascolta le parole del magistrato con stupore, sgomento e anche con la convinzione che anche se molto è stato fatto non è sufficiente ad estirpare questa piaga sociale che offende la dignità degli onesti cittadini e di tutti coloro che credono nella giustizia. Emblematica la foto – citata dal dottore Ardita- rinvenuta all’indomani dell’omicidio Romeo: ad un tavolo, a banchettare insieme, c’erano l’allora sindaco di Catania, il presidente della Provincia, il medico del carcere, gli imprenditori più importanti del sud e Nitto Santapaola, il capo di “Cosa nostra”.
La Catania degli anni ’80 aveva una borghesia, appunto la “Catania bene”, che pensava a quel sistema presente nella società cittadina come ad un sistema capace di generare benessere e tranquillità. I quartieri dell’alta società e della borghesia benestante non volevano avere nulla a che fare con i quartieri degradati, poveri, dove chi ha la sfortuna di nascerci e viverci non ha diritto a volere una vita diversa: devono rimanere lì, “tanto si ammazzano fra di loro”.
Molti gli interventi da parte del pubblico in sala che ha esortato il magistrato a fare un’ analisi della attuale situazione. Certo, dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, lo Stato era riuscito in buona parte a mettere in ginocchio la mafia, ma allora – analizza giustamente il dottore Ardita – perché non si è continuato su quella strada che stava dando i suoi frutti?
La giustizia italiana ha un iter lungo e costi molto alti, si dà tanto spazio a processi che hanno per oggetto reati minori togliendo risorse e tempo a reati e criminali che non dovrebbero invece aspettare, nell’interesse della collettività. Possiamo solo auspicare che le nuove generazioni, come ha sottolineato il magistrato, abbiano sempre più il desiderio di regole e di giustizia, credendoci fermamente, perché solo credendo nei propri ideali e nel bene si può sconfiggere il male.
Gabriella Puleo