Sistemo bancario / Becchetti: “La crisi delle banche insegna che ci vogliono comportamenti civici di tutti noi”

0
69

Il salvataggio di Banca Marche, CariFerrara, CariChieti e Banca Etruria “è stato provvidenziale”, afferma l’economista Leonardo Becchetti, “perché ha evitato che possessori di obbligazioni ordinarie e correntisti per la quota di deposito superiore ai 100mila euro fossero coinvolti”. Gli errori di chi nelle banche ha venduto le obbligazioni subordinate e di chi le ha comprate senza diversificare i propri risparmi. “Nel nostro paese il livello di istruzione finanziaria è molto basso”, aggiunge

Alla fine, dopo la grave crisi di quattro banche di medie dimensioni (Banca Marche, CariFerrara, CariChietibancaFallimentoOK-755x491 e Banca Etruria) di fatto “fallite” e sulle cui ceneri sono nati quattro nuovi istituti ripuliti dei crediti inesigibili, è arrivata nei giorni scorsi la decisione del governo. E’ stato infatti varato un “fondo di solidarietà” da 100 milioni di euro, alimentato non da denaro pubblico bensì dalle banche italiane tramite il “Fondo interbancario di tutela dei depositi”. Al momento non si conoscono le modalità operative e si attende un decreto del ministero dell’Economia e finanze in tale senso. Il fondo verrà in soccorso solo di persone fisiche, imprenditori individuali e agricoli e non di società che avessero investito in obbligazioni subordinate.

Sui 12.500 clienti colpiti per un totale di 431 milioni di euro, ne verranno “salvati” di fatto uno su quattro, a partire dai 1.010 clienti più piccoli (per un totale di 27 milioni).

Difficile dire al momento cosa possa succedere agli altri clienti che hanno o una concentrazione di tali obbligazioni inferiori al 30% del patrimonio totale, oppure che pur avendole in misura più alta dispongono di patrimoni superiori a 100mila euro. Perderanno invece tutto il loro capitale i 130mila azionisti che detenevano titoli delle quattro banche fallite. Ma come è stato possibile arrivare a questo e ora cosa ci attende per il 2016 con il “bail-in” voluto dall’Unione Europea? Lo abbiamo chiesto all’economista Leonardo Becchetti, dell’università Roma Tor Vergata. Ecco le sue risposte.

Col 1 gennaio entrerà in vigore il bail-in, cioè il salvataggio di banche in crisi a carico di azionisti, obbligazionisti e clienti. Si apre una nuova era, di che tipo?
“E’ un’era in cui i proprietari di azioni, obbligazioni subordinate, obbligazioni ordinarie e conti correnti per la parte eccedente i 100mila euro saranno chiamati a coprire nell’ordine indicato le perdite in caso di fallimento bancario.  Non rischiano nulla, invece, i correntisti con depositi sotto i 100mila euro”.

Cosa insegna il caso delle quattro banche italiane, di fatto fallite?

“L’intervento è stato provvidenziale in quanto ha evitato che possessori di obbligazioni ordinarie e correntisti per la quota di deposito superiore ai 100mila fossero coinvolti. E si è evitato questo grazie ad una ‘colletta’ delle altre banche che hanno versato tre anni di quote  dovute al fondo di garanzia, costruito per far fronte a problemi di questo tipo”.

La decisione del governo di dar vita a un fondo di salvataggio ha un senso, oppure costituisce un brutto precedente per il quale la gente penserà che “tanto se succede qualcosa, lo Stato ci aiuta”?
“Forse il governo poteva battersi di più nei confronti dell’Ue. Subito dopo la crisi sono stati spesi miliardi e miliardi pubblici per salvare le banche nel Nord Europa e il governo italiano non ha speso nulla. Ma non abbiamo accumulato un credito e ora che c’è stata la difficoltà delle nostre 4 banche purtroppo il sistema è cambiato e i salvataggi pubblici non sono più possibili”.

Perché a pagare sono azionisti e possessori di obbligazioni e non primariamente i vertici delle banche, che hanno provocato le perdite?
“Bisogna tornare secondo me ai fondamentali e capire cos’è un’attività economica. Ogni attività economica porta con sé un rischio. Il fallimento può avvenire per circostanze non previste e non è necessariamente una colpa. Chi finanzia attività economiche con azioni e obbligazioni deve sapere che corre un rischio. I veri errori sono due. Se chi ha venduto il prodotto non ha avvisato correttamente del rischio. E se chi ha comprato non ha diversificato il suo portafoglio. Non si puntano tutti i propri averi su un solo cavallo. La diversificazione del rischio è il principio basilare dell’investimento che insegniamo in università. Purtroppo il livello di educazione finanziaria del Paese è molto basso. E oggi è nostra responsabilità di cittadini avere un livello di educazione finanziaria più elevato”.

Un cliente inesperto da noi può essere indotto, artatamente, a sottoscrivere un titolo rischioso, con la scusa che ha “firmato la Mifid”. Perché non separare la profilazione di rischio dall’investimento vero e proprio tramite un ente indipendente da tutte le banche e finanziarie?
“Questo è un punto fondamentale. I risparmiatori trovano normale andare a chiedere consiglio sugli investimenti a un dipendente di una determinata banca come se parlassero con il loro padre spirituale. Ma se io vado in una concessionaria di una certa marca e chiedo un consiglio su quale macchina comprare quale consiglio pensa che riceverò? Muovere verso consulenti indipendenti è fondamentale”.

C’è il balletto delle responsabilità: da una parte Banca d’Italia che non avrebbe controllato abbastanza; dall’altra la Consob che non avrebbe vigilato sulla bontà dei singoli titoli ed emissioni. Alla fine nessuno sarà responsabile?
“C’è da tener conto che esiste anche un’altra attenuante. I titoli bancari erano effettivamente meno rischiosi prima dell’avvio del bail-in, di fatto già partito con questa storia. In quanto si pensava godessero dell’opzione di salvataggio implicito da parte dello Stato. E magari i consigli dati al momento dell’acquisto risentivano di questo. L’introduzione del bail-in li ha resi di fatto più pericolosi”.

Non si potrebbe pensare a una legge che obblighi alla diversificazione degli investimenti così da abbassare il rischio per la clientela minuta?
“E’ un argomento interessante. Sarebbe un intervento ‘paternalistico’ e un limite alla libertà di scelta ma senz’altro una regola utile per evitare i casi più dolorosi. In fondo anche il sistema  pensionistico nato nel dopoguerra ha seguito la stessa logica: obbligare il lavoratore ad accantonare somme che saranno conferite solo alla fine della vita lavorativa per evitare che la mancanza di autodisciplina nel risparmio impedisse di mettere da parte il necessario per il periodo della pensione”.

Ora si parla anche di una altra decina di banche di credito cooperativo piccole che potrebbero fare la stessa fine. E’ in arrivo un’altra “mazzata” sul sistema bancario?

“Il sistema del credito cooperativo ha meccanismi di solidarietà interna dove le banche migliori contribuiscono in caso di dissesto di quelle peggiori. La verità è che esistono banche ben gestite e banche mal gestite e che molto dipende dalla qualità dei vertici”.

Che morale si può trarre da queste ultime vicende: che non è possibile applicare i valori etici agli affari finanziari?

“Se continuiamo a pensare che in economia l’etica la debbano avere le sole istituzioni; che noi cittadini non possiamo essere che soggetti passivi, inconsapevoli, da proteggere, quasi dei minus habens senza possibilità di crescita e di apprendimento stiamo freschi, allora vuol dire che siamo fermi ad un modello a due mani (mercato ed istituzioni) che non potrà mai funzionare. L’etica nel sistema va alimentata dai comportamenti civici di tutti noi. Attraverso le scelte di consumo e risparmio responsabile. Se i cittadini partecipano, si informano e ‘votano col portafoglio’ per le banche migliori nel creare valore economico in modo sostenibile, il sistema migliora”.

Luigi Crimella

Print Friendly, PDF & Email