XXII Congresso Ati, parla il neo presidente don Roberto Repole

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don Roberto Repole

 Si è appena concluso il XXII congresso nazionale dell’Associazione teologica italiana (Ati), che ha visto l’elezione all’unanimità del suo nuovo presidente, don Roberto Repole, il più giovane nella storia dell’Ati (classe 1967). Con lui riflettiamo sull’Eucaristia, sia perché è stata al centro dei lavori dell’Ati in questi giorni (“Eucaristia e Logos. Un legame propizio per la teologia e la Chiesa”), sia perché oggi inizia ad Ancona il XXV Congresso eucaristico nazionale.

 Quale bilancio può fare del congresso Ati?

“Il bilancio dell’ultimo congresso è estremamente positivo: c’è stata una ricchezza di pensiero molto forte e forse per la prima volta si è tentato di ricercare in che senso l’Eucaristia, che è un momento così identificante della vita ecclesiale, della stessa fede cristiana, possa dare forma al pensare teologico. Nel precedente congresso teologico si è affrontato il tema della teologia dalla Scrittura, questa volta si è tentato di sviluppare il tema della teologia dall’Eucaristia”.

 Ci spieghi meglio…

“Occorre innanzitutto riconoscere di nuovo che l’Eucaristia è un mistero della fede e, quindi, è inesauribile. Ed è inesauribile anche nelle categorie in cui può essere letta. Questo dice che anche nell’oggi, in un contesto certamente diverso da quello che era, per esempio, il contesto medioevale e quello delle dispute eucaristiche che hanno in qualche modo inciso nella divisione della Chiesa, è possibile ritrovare nell’Eucaristia stessa un modo per offrire un pensiero sulla realtà e anche per ripensare lo stesso annuncio cristiano”.

 Come si può annunciare oggi il Vangelo in relazione all’Eucaristia e in sintonia con i segni dei tempi?

“C’è la possibilità di scoprire, anche in un contesto di secolarizzazione e di globalizzazione come quello attuale, che l’Eucaristia, proprio perché esprime il dono totale della vita di Cristo, sviluppa un annuncio che è esso stesso un dono da offrire al mondo contemporaneo, un dono che non s’impone, un dono discreto come è la presenza di Cristo nell’Eucaristia e che richiede la libertà e l’adesione totale da parte di chi lo accoglie”.

 Un teologo come può spiegare il significato dell’Eucaristia a chi è alla ricerca di Dio?

“L’Eucaristia diviene completamente comprensibile per chi è credente, per chi è dentro l’esperienza cristiana. Ma mi sembra di poter dire che forse manifesta un aspetto: quello del desiderio della vicinanza di Dio o di come incontrare Dio. L’Eucaristia è, a mio avviso, un segno posto nel cuore della Chiesa per dire che i cristiani riconoscono la presenza e la visita del Risorto in quel gesto della Chiesa, in cui il Signore Gesù si rende presente e vivo. Questo aspetto può in qualche modo interpellare tutti quegli uomini di buona volontà che nelle diverse situazioni della loro vita si chiedono dove è possibile concretamente incontrare Dio nella storia”.

 E come spiegare l’Eucaristia ai lontani, ai distanti?

“Innanzitutto bisogna avvicinarli, affascinarli a Cristo nella sua concretezza. L’Eucaristia ha un senso nella misura in cui si è incontrato Gesù. Credo da questo punto di vista che il fascino oggi potrebbe venire dal riscoprire davvero che Dio non è un concorrente dell’uomo, della nostra felicità e soprattutto della nostra libertà. Mi sembra d’intuire che uno degli aspetti caratterizzanti degli uomini che vivono nella cultura di oggi è il senso imprescindibile della propria libertà, della propria autonomia, della propria autodeterminazione. La grande sfida mi sembra questa: far riscoprire che il cristianesimo non è in antitesi alla libertà, all’autonomia e all’autodeterminazione. In questo il pensiero teologico ha un grande compito da svolgere. Da questo punto di vista, l’Eucaristia con la sua presenza discreta, paradossalmente, esprime tale aspetto. Non è una presenza di Cristo che è sfolgorante, che s’impone, che opprime l’uomo, ma che si consegna a una libertà”.

 Oggi inizia il Congresso eucaristico e richiamerà gli ambiti del Convegno di Verona: come si coniuga l’Eucaristia con la quotidianità?

“L’Eucaristia non è un tempo, un gesto, un rito fatto per separare qualcosa da tutto il resto, ma perché dopo si ritorni alla quotidianità con una forza trasfigurante della realtà, ad esempio del lavoro con tutte le sue problematiche. L’Eucaristia che si celebra nel giorno del Signore mi sembra carica di profezia nel mondo di oggi che sta perdendo la festa, che sta ‘sequestrando’ tutti i tempi”.

 Come rimettere al centro della vita cristiana l’Eucaristia domenicale?

“Penso che rimetteremo al centro della vita cristiana l’Eucaristia domenicale quando davvero rimetteremo al centro Cristo, con una fede sempre più radicale, solida e anche conforme agli uomini del nostro tempo. Bisognerebbe superare questa tendenziale schizofrenia: da una parte, nel valorizzare un’Eucaristia a dispetto della vita reale che noi facciamo; e, dall’altra, un appiattimento sulla vita reale a tal punto da non farci scorgere che abbiamo bisogno di Cristo e della sua presenza per vivere in pienezza la vita che facciamo. La sfida è qui”.

(SIR)

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