Nei primi giorni dell’anno la prospettiva con la quale si guarda ai mesi che verranno è quella di un auspicato cambiamento in positivo, dell’augurio perché le cose siano migliori dell’anno che si è appena concluso. E in questo desiderio di positività cerchiamo conforto anche in almanacchi e oroscopi: così sappiamo che per i cinesi questo è l’anno della scimmia, e curiosiamo nei nostri segni zodiacali pur sapendo che sono collocati in modo sbagliato, come ci dicono i matematici, rispetto al periodo spazio temporale che occupano. Lo sappiamo, diciamo di non crederci, ma chi non ha sbirciato almeno una volta le parole del proprio segno zodiacale?
Siamo sempre alla ricerca di un qualcosa che ci aiuti a cogliere in una prospettiva di novità il cammino che abbiamo davanti; in sostanza, siamo alla ricerca di una guida, una luce, che possa illuminare i nostri passi. Eppure questa luce l’abbiamo incontrata pochi giorni fa, in quella piccola creatura nata a Betlemme, che i pastori, i poveri e gli umili, hanno vegliato. Come i magi che, guidati dalla cometa, raggiungono Betlemme dall’oriente, lo ricorderemo nell’epifania, così anche l’uomo di oggi ha bisogno di una guida per trovare quella luce, per cogliere i segni dei tempi in un tempo in cui i segni sono troppi e confusi. Ricordava Papa Benedetto XVI che è proprio quella sapienza, la sapienza di Dio, che dà senso alla storia, “vera ragione di speranza dell’umanità”. Per questo, affermava, non abbiamo bisogno di improbabili pronostici e previsioni economiche: l’anno che verrà “sarà più o meno buono nella misura in cui ciascuno, secondo le proprie responsabilità, saprà collaborare con la grazia di Dio”.
Le lettura di questa seconda domenica dopo Natale, ci dicono ancora qualcosa di più su quel bambino nato in umiltà e povertà, soprattutto il prologo del Vangelo di Giovanni che matte in risalto il mistero dell’incarnazione, in un linguaggio che va all’origine di tutto: “in principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Tutto inizia qui, in questo rapporto tra il Verbo, la parola divina, e il Padre; la parola creatrice che si fece carne e ha messa la tenda in mezzo a noi. “Quella parola – afferma Papa Francesco all’Angelus – che dimora nel cielo, cioè nella dimensione di Dio, è venuta sulla terra affinché noi l’ascoltassimo e potessimo conoscere e toccare con mano l’amore del Padre”. Un dono d’amore cui fa riscontro, per Francesco, la non accoglienza da parte degli uomini: “la parola è la luce, eppure gli uomini hanno preferito le tenebre”. Hanno chiuso la porta in faccia al figlio di Dio, afferma ancora il Papa: “è il mistero del male che insidia anche la nostra vita e che richiede da parte nostra vigilanza e attenzione perché non prevalga”. Il male, si legge nel libro della Genesi “è accovacciato davanti alla nostra porta”, afferma ancora il Papa, e se lo lasciamo entrare “sarebbe lui allora a chiudere la nostra porta a chiunque altro”.
La novità cristiana è proprio quell’aprire la porta all’altro, alla parola di un Dio che “si esilia da se stesso per amare chi è fuori di lui; un Dio che si mostra mortale”, scrive il priore di Bose, padre Enzo Bianchi. Ma è proprio questo lo scandalo dell’incarnazione “che è sempre stata la verità più difficile da credere, in ogni tempo, anche da parte degli stessi cristiani”.
In quel bambino nato a Betlemme c’è il progetto d’amore iscritto nel disegno divino; c’è l’invito ad accogliere la “parola di salvezza, questo mistero di luce”. Se accogliamo Gesù, afferma Papa Francesco, “cresceremo nella conoscenza e nell’amore del Signore, impareremo ad essere misericordiosi come lui”.
È vero, la vita è segnata da difficoltà e i problemi non mancano, ma dobbiamo anche essere capaci di cogliere i segni di una presenza di Dio nella nostra storia. Un Dio che ci parla in tanti modi, che ha messo la tenda non solo tra gli uomini, ma negli uomini, nella debolezza, nella fragilità, nella mortalità della nostra carne.
Fabio Zavattaro