Il prossimo 17 aprile gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi sul tema delle trivellazioni. Il referendum, promosso dall’iniziativa politica di nove regioni (Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto), pone il seguente quesito:
“Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale‘?”. In altre parole, si chiede agli italiani di cancellare l’articolo del codice dell’ambiente che permette le trivellazioni fino a quando il giacimento è in vita. Inoltre, il quesito riguarda solo le operazioni già in atto entro le 12 miglia marine dalla costa, non quelle sulla terraferma oppure in mare a una distanza superiore. Cosa cambia se vincerà il sì, e quindi verrà cancellato l’articolo poca fa menzionato?
Intanto si bloccherebbero tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa alla scadenza dei contratti attualmente attivi. Stiamo parlando in tutto di 21 concessioni: 7 sono in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata e in Emilia-Romagna, una in Veneto e nelle Marche. Rispecchiano la presenza di giacimenti finora individuati lungo la costa Adriatica, nel golfo Ionico e nel Sud della Sicilia. Oggi le concessioni hanno una durata di trent’anni, prorogabili di dieci e poi di altri cinque anni. Se vincessero i sì non sarebbe più possibile andare oltre, eliminando di fatto la possibilità di proroga: questo comporterebbe la cessazione nel giro di alcuni anni delle attività attualmente in corso, tra cui quelle di Eni, Shell e di altre compagnie internazionali.
Cosa cambia, invece, se vincessero i no? Trattandosi di un referendum abrogativo un’eventuale bocciatura lascerebbe la situazione inalterata: le ricerche e le attività petrolifere attualmente in corso potranno proseguire fino a scadenza. Successivamente le compagnie potranno presentare una richiesta di prolungamento dell’attività, che sarà autorizzata sulla base di una valutazione di impatto ambientale. Dunque, le estrazioni di idrocarburi non avranno scadenza certa, e in molti casi potrebbero proseguire fino all’esaurimento del giacimento.
Gli interrogativi da porsi non sono pochi. Per esempio, se si fermassero le trivellazioni perderemmo una risorsa preziosa? Come spesso accade il dibattito parte dai numeri (e dagli interessi cosiddetti forti): il contributo versato dall’industria del petrolio alle casse dello stato è pari a 800milioni di tasse e questa attività da lavoro diretto a più di 10mila persone. Una cosa però va sostenuta: l’estrazioni nell’Adriatico sono eco-compatibili e sono svolte con standard di sicurezza e di rispetto dell’ambiente elevatissimi. Senza voler influire sull’opinione di nessuno, una domanda da porsi è se le trivellazioni, e non solo in Italia, sono compatibili con gli impegni a difesa del clima (se ne parlato anche nell’ultima conferenza a Parigi). L’impegno preso è quello di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei due gradi. Ciò implica un taglio rapido dell’uso dei combustibili fossili (autorevoli ricerche internazionali lo confermano). Quindi, investire sul petrolio potrebbe rivelarsi, oltre che un azzardo economico, un rischio per la tenuta del clima.
Comunque vada a finire la posta in gioco è ben più grande. Vale la pena affidarci ancora una volta alle parole di Papa Francesco per augurarci una maggiore responsabilità dell’uomo dinanzi a questa terra che non gli appartiene: “Sappiamo che la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas –, deve essere sostituita progressivamente e senza indugio. In attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che dovrebbe già essere cominciato, è legittimo optare per l’alternativa meno dannosa o ricorrere a soluzioni transitorie. Tuttavia, nella comunità internazionale non si raggiungono accordi adeguati circa la responsabilità di coloro che devono sopportare i costi maggiori della transizione energetica. […] In questo senso si può dire che, mentre l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia, c’è da augurarsi che l’umanità degli inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le proprie gravi responsabilità”. (Laudato si’)
Domenico Strano