Lo scorso inverno il cinema ci ha regalato diversi film molto belli. A nostro avviso il pubblicizzatissimo “Ave Cesare” non è fra quelli. Joel ed Ethan Coen ci avevano abituato a una comicità noir molto più divertente. Forse sarebbe sufficiente dire che ci avevano abituato alla comicità visto che, in questo ultimo film, le risate spontanee ed esplosive sono state davvero poche.
Il film narra l’abituale e molto stravagante quotidianità di Eddie Mannix, capo della produzione della casa cinematografica Capitol Pictures. Eddie è una specie di fixer o per meglio dire fac totum. Conosce i vizi delle star e cerca di porre rimedio agli errori che potrebbero compromettere la loro immagine, come la gravidanza inattesa della nubile Dee Anna Moran (Scarlett Johansson). Si destreggia tra l’egocentrismo delirante di registi come Laurence Laurentz. Cerca di trarre il meglio da, tanto popolari quanto catastroficamente incapaci, attori come Hobie Doyle, giovane star di film western. E in tutto ciò la sua vita va avanti. L’evento imprevisto che sconvolge questo impegnativo ma gestibile tran tran è il rapimento di Baird Whitlock, interprete protagonista di una delle più importanti pellicole della Capitol : “Ave Cesare”. A questo punto del film la già troppo frammentata trama subisce un drastico peggioramento. I rapitori della star di Hollywood altro non sono che un gruppo di comunisti che risiede in una villa a Malibù, i quali chiedono un’esorbitante richiesta di riscatto, firmandosi come “Il futuro”. Di qui una serie di dissertazioni filosofiche, ma sarebbe meglio dire sproloqui, tra la cerchia di intellettuali comunisti, i rapitori, e l’ostaggio. Che l’intento dei registi fosse chiaramente satirico, non sfugge alla nostra osservazione. Il problema è che è un’ironia che non coinvolge, non diverte e non fa ridere. Tutto inverosimile, tutto pompato al massimo, tutto volontariamente grottesco. Specie la scena, indimenticabile per la sua noia infinita, in cui appare un sottomarino russo. Sforzi di colpire lo spettatore, perfettamente inutili per un pubblico in sala stufo e deluso.
Se questo è il cinema d’autore, noi veramente preferiamo una comicità maggiormente spontanea, che faccia veramente ridere. Basta storie assurde, solo per creare nello spettatore stupore fine a sè stesso, basta atteggiarsi ad intellettuali. E soprattutto : basta aprire mille parentesi per toccare mille temi lasciandoli tutti in aria (come quando alla fine Eddie è preso da una sorta di crisi mistica che giustifica il suo spirito di sopportazione e il servilismo verso le star). Vogliamo perdonare ai registi il fatto (imperdonabile) che un film comico non facesse ridere? Allora pensiamo: ci sarà un tema che volevano mettere in luce per farci riflettere? Sì ma…quale?
Insomma, senza andare troppo lontano, “Burn after reading” è un film del 2008, degli stessi registi, con una trama sensata, in cui si susseguono una serie (concatenata!) di eventi, comici fino all’inverosimile. Quelli sono i fratelli Coen che rivogliamo indietro!
Annamaria Distefano