Italia e Germania sono i paesi con la popolazione più anziana d’Europa. Viviamo più a lungo, siamo fortunati. Invecchiamo decorosamente visto quanti anziani frequentano i centri sportivi, aiutano i loro figli nell’accudire i bambini, si iscrivono alle università della terza età e alle scuole di ballo di gruppo.
Però siamo anche uno dei paesi con la percentuale minore di neonati. La scarsa fecondità della nostra popolazione rivela il segnale di una forte crisi demografica e si ripercuote sullo stato di salute della società e sulle sue prospettive di futuro.
Il primo motivo è nella vitalità sociale: meno giovani e meno bambini portano a comunità con un passo più lento, meno giocoso, meno creativo e più affaticato, portano a uno sguardo meno stupito e più disincantato. Un adulto o un anziano, per quanto si mascherino, non riescono e non riuscirebbero neppure volendo a imprimere l’impulso di movimento che è connaturale e spontaneo in un giovane. Di questo elemento si tende a non parlare perché in fondo è un modo di nascondere a se stessi, alle generazioni più adulte, la nuda realtà: si invecchia.
Il secondo motivo è nella difficoltà dei sistemi di welfare che dovranno sopportare il carico della quarta età, quando gli anziani diventano non autosufficienti e dove le malattie degenerative si aggravano. L’assistenza sociale e il sostegno alle reti familiari è un tema cruciale che chiede di aprire a strade chiare per il futuro, non ci si può fermare al welfare fatto in casa delegato alla badante.
Il terzo motivo è di visione politica: se in una democrazia la base elettorale è sempre più anziana gli impegni politici e i programmi tenderanno a sbilanciarsi su quella fascia di popolazione e trascurerà i più giovani. Questo purtroppo rischia di schiacciare le politiche sul passato, piuttosto che sul futuro: concentrarsi sulle pensioni, invece che sull’incremento dei posti di lavoro; investire sulla sanità, invece che sull’istruzione.
Per invertire la tendenza alcuni sottolineano l’importanza di favorire i flussi migratori. Tuttavia, a prescindere dalle questioni di integrazione culturale, questi potranno contribuire, ma non riusciranno comunque a garantire un numero tale di accessi da riequilibrare la bilancia demografica.
Se guardiamo nel resto di Europa l’unico Paese con un tasso di fecondità che garantisce il ricambio generazionale è la Francia, che ha investito molto in politiche familiari: da una parte attraverso la conciliazione tempi di vita e tempi di lavoro, dall’altra attraverso sostegni economici (assegni per i figli) e sociali (asili nido) che permettono ai nuclei familiari una vita dignitosa. Potremmo seguire l’esempio. Ci vuole coraggio per invertire una tendenza, però poi porta frutti.
Andrea Casavecchia