Non ci sono colpi di scena nella prolusione con cui il cardinal Bagnasco ha aperto i lavori del Consiglio permanente della Cei. C’è una grande chiarezza e un grande senso di responsabilità. Il cardinale definisce la situazione in termini precisi, notando che questa “convulsa fase vede miscelarsi in modo sempre più minaccioso la debolezza etica con la fibrillazione politica e istituzionale, per la quale i poteri non solo si guardano con diffidenza, ma si tendono tranelli, in una logica conflittuale che perdura ormai da troppi anni”. Ci sono le notizie di “comportamenti contrari al pubblico decoro”, “stili non compatibili con la sobrietà e la chiarezza”, e nello stesso tempo il dispiegarsi di una “ingente mole di strumenti di indagini”. Insomma “passando da una situazione abnorme all’altra, è l’equilibrio generale che ne risente in maniera progressiva, nonché l’immagine generale del Paese”.
Non si nomina – ovviamente – nessuno, ma tutto è chiaro, tutto è chiamato per nome: viene interpretato il sentimento profondo della gente. Lo sguardo del presidente della Cei è nella prospettiva prima di tutto e soprattutto del bene comune, la prospettiva dell’Italia. È questo il cuore del discorso del presidente della Cei e da questa prospettiva si guarda all’attualità politica. Il cardinal Bagnasco ripete così, a nome dei cattolici italiani e più volte citando il Papa, parole impegnative sull’identità e sul futuro dell’Italia. Qui si radica anche la proposta sull’attualità politica, sui molteplici aspetti del caso Berlusconi: “È necessario fermarsi – tutti – in tempo, fare chiarezza in modo sollecito e pacato, e nelle sedi appropriate, dando ascolto alla voce del Pese che chiede di essere accompagnato con lungimiranza ed efficacia senza avventurismi, a cominciare dal fronte dell’etica della vita, della famiglia, della solidarietà e del lavoro”.
Chiamare le cose per nome, invitare ciascuno ad assumersi le proprie responsabilità, guardare dunque in profondità e guardare avanti. Siamo così agli aspetti di fondo, si può dire social-strutturali, che spesso rischiano di cadere nel dimenticatoio.
Non è più tempo di scorciatoie consumistiche, per di più finanziate a debito, come si è cominciato a fare negli anni Settanta – e i vescovi hanno puntualmente denunciato in un documento famoso del 1981, “La Chiesa italiana e le prospettive del Paese”. Il consumismo, che ovviamente non riguarda solo appunto i consumi in senso stretto, ma il tessuto etico di fondo, nel senso della “dittatura del relativismo”, non porta da nessuna parte: tutto sembra ormai consumato. Bisogna, allora, tornare ad investire. Qualcuno teorizza la “decrescita”. Certo, c’è da tirare la cinghia. Ma non ci possiamo accontentare di una lenta e inesorabile decadenza. Mettere al centro i giovani, come fa il cardinale Bagnasco, affermare che “l’Italia nel suo complesso deve ringiovanire”, significa impegnarsi concretamente tutti insieme per tornare, con spirito di sacrificio, senso del dovere, virtù e valori morali, all’investimento e, dunque, allo sviluppo.
Francesco Bonini (dal Sir)