Calcio / Cina, ecco l’ultima frontiera

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LippiCosa hanno in comune Marcello Lippi e Daniele D’Eustacchio? Difficile dirlo, se vengono messi a paragone da una parte un allenatore milionario, con un curriculum in panchina fatto di vittorie, gloria e onori e dall’altra un coraggioso e sconosciuto ventisettenne la cui carriera è trascorsa tirando calci a un pallone nei campi nebbiosi della I categoria lombarda. Entrambi, però, potrebbero essere ricordati tra decenni come alcuni tra i pionieri che contribuirono alla crescita del calcio in quello sfaccettato, composito e sconfinato paese che è la Repubblica Popolare Cinese: tutto questo, ovviamente, con le dovute e sostanziali differenze.

Lippi è infatti l’uomo chiamato a risollevare le sorti di un calcio che è ben lontano dal compiere il salto di qualità: il suo contratto quadriennale con la nazionale asiatica, fresco di firma per 4,5 milioni di euro l’anno, potrebbe accompagnarsi al ruolo di “consigliere” che ricoprirebbe al Guanghzou Evergrande. La stessa squadra con cui l’allenatore viareggino ha conquistato tre campionati e una Champions asiatica tra 2012 e 2014. “Nel calcio nulla è impossibile – ha sentenziato il neo ct cinese – io e il mio staff ci metteremo subito al lavoro per provare a fare qualcosa che sembra molto difficile. Indossare la maglia della Cina deve dare grande energia: cercheremo di costruire un’organizzazione tattica“.

La strada, però, sembra obiettivamente in salita: la qualificazione a Russia 2018 rimane infatti una chimera, visto il disastroso avvio nel girone che dovrebbe portare al Mondiale. Tre sconfitte in quattro partite, con l’ultimo decisivo ko in Uzbekistan che ha portato alle dimissioni dell’ex ct Gao Hongbo. Più probabile che, a parte le dichiarazioni di facciata, l’allenatore italiano si concentri su un progetto di lungo respiro, cercando di selezionare i calciatori migliori e quelli di più rosee prospettive, per poi forgiarli seguendo un determinato fil rouge a livello tattico e organizzativo.

Nonostante gli scarsi risultati della nazionale, però, i cambiamenti nel mondo calcistico cinese stanno avvenendo alla velocità della luce. La Super League, la loro Serie A, sta gradualmente smettendo di essere un carrozzone che attira a suon di milioni calciatori ormai in declino: i Drogba ed Anelka andati lì a svernare a carriera ormai conclusa sono stati sostituiti da calciatori ancora in piena attività. I sudamericani Hulk, Guarin e Jackson Martinez, l’ivoriano Gervinho e il nostro Graziano Pellè sono alcuni tra i giocatori che (convinti da contratti munifici) hanno preferito lasciare la vecchia Europa e diventare alfieri del calcio cinese.

Una scelta per certi versi opinabile, dato il livello ancora scarso del campionato in questione, e figlia di una strategia che i ricchi club orientali stanno portando avanti per cercare di far attecchire nel gigante asiatico la passione per lo sport più amato e seguito al mondo. Tutto ciò fa il paio col crescente interesse di gruppi cinesi che, in Europa, hanno intenzione di acquisire squadre dal grande blasone per inserirsi nel calcio che conta: l’Inter ha ormai abbandonato la dinastia Moratti per diventare, dopo il breve interregno Thohir, di proprietà del colosso Suning Commerce Group. A breve, anche i cugini rossoneri del Milan andranno incontro a un simile ed epocale cambio societario.

Accanto a investimenti crescenti da parte di gruppi privati, va poi considerata la capillare strategia portata avanti dal governo di Pechino: un programma che prevede la costruzione di 50000 campi da calcio in tutto il paese, accanto al potenziamento delle strutture scolastiche. Il calcio è sempre più praticato a livello giovanile, senza dimenticare che le maggiori società calcistiche sono dotate di Academies in cui crescono i potenziali talenti del futuro. Tutto questo, ovviamente, con l’aiuto di tecnici e collaboratori stranieri: assieme al precursore Lippi, nella truppa italiana occorre ricordare anche Ferrara e Cannavaro, oltre alla breve e poco felice esperienza di Zaccheroni.

Allenatori ed ex calciatori affermati questi ultimi, accanto ai quali emerge la particolarissima storia di un ragazzo neanche trentenne che lascia la Lombardia per tentare la fortuna in Cina: si tratta di Daniele D’Eustacchio, una breve carriera da dilettante alle spalle e un lavoro da cambiavalute all’aeroporto di Linate. Con un amico decide, tre anni fa, di trasferirsi a Shangai. Un’avventura che lo porta prima a lavorare come allenatore in una scuola privata, per poi passare alla seconda serie nazionale e sbarcare, infine, a Wuhai: città di 500000 abitanti della Mongolia interna, in un’area desertica. Lì il suo ruolo è quello di allenare 300 ragazzi scelti tra le scuole superiori della città. Compenso? 3000 euro al mese. Lippi e D’Eustacchio: due storie, diametralmente opposte, di pionieri italiani in una Cina che sempre più rappresenta l’ultima frontiera del calcio globale.

Giorgio Tosto