Vangelo della domenica (9 aprile) / Nel sacrificio di Cristo in croce è riassunta l’intera vicenda dell’umanità

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Canto al Vangelo (Fil 2,8-9)
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte e a una morte di croce.
Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome.
Lode e onore a te, Signore Gesù!

Vangelo (Mt 21,1-11 e 27,11-54)
Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito».
Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma». I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere.
La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».

[…] Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla.
Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei».
Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.
Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».
Parola del Signore

Riflessione
La domenica delle Palme presenta gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù su un duplice binario: quello della gloria e quello della sconfitta. La gloria nell’ingresso a Gerusalemme; la sconfitta nella crocifissione. Momenti antitetici: normalmente si dice “per crucem ad lucem”; in questo caso, però, sembra avverarsi il contrario: “Per lucem ad crucem”. La gloria terrena di Gesù acclamato dalle folle fa da premessa alla condanna e alla morte di croce. La luce del momento di gloria terrena diventa testimonianza della fragilità dei sentimenti umani, mentre la sconfitta terrena di Cristo in croce manifesta l’affidabilità definitiva dell’amore di Dio per l’umanità.
Due grandi folle si contrappongono: quella dell’Osanna nell’ingresso di Gerusalemme lo riconosce come “colui che viene nel nome del Signore”; e quella che assiste alla farsa del suo processo, che grida a Pilato “Crocifiggilo”. Quanto è fragile, insicura e mutevole la gloria terrena! Come non pensare che non poche tra le persone che hanno gridato “Osanna” il giorno dell’ingresso a Gerusalemme, abbiano poi gridato “Crucifige”. Fragile è l’amore dell’uomo per Dio, mentre “duro come pietra” – secondo l’espressione di Isaia – è l’amore di Dio all’umanità peccatrice; Cristo “non resta confuso” di fronte al tradimento umano, ma conserva integro il suo amore, per il quale si fece “obbediente fino alla morte e a una morte di croce”.
La duplice celebrazione della Domenica delle Palme può essere considerata come la presentazione tematica di tutto il messaggio della Settimana Santa, fino alla Pasqua. Gesù dona il suo corpo e il suo sangue nell’ultima cena “per il perdono dei peccati”. E nella stessa cena, si consuma il tradimento di Giuda. Gesù non si nega a chi lo arresta; gli apostoli invece fuggono. Nel Getsemani Gesù, pur pregando: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!”, aggiunge: “Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”. Gli apostoli invece hanno paura della volontà del Padre. Gesù, al sommo sacerdote che gli chiede se lui sia Figlio di Dio, risponde: “Tu l’hai detto”; Pietro, al contrario, interrogato da una serva, nega la verità: “Non conosco quell’uomo”.
In difesa di Gesù interviene solo la moglie di Pilato; e a condanna di Pietro, c’è solo un gallo che canta. E di fronte alla morte del Signore, ecco l’atto di fede del centurione romano e di chi con lui fa la guardia a Gesù, che “furono presi da grande timore e dicevano: ‘Davvero costui era Figlio di Dio!’”.
Nel sacrificio di Cristo in croce è l’intera vicenda dell’umanità che viene riassunta: eterno è l’amore di Dio in Gesù per l’umanità; fragile e traditore è l’amore dell’uomo, dei discepoli, per il Signore creatore e redentore. Non sempre i “vicini” di Cristo comprendono il suo amore e gli sono fedeli; accade invece che a volte i “lontani” sappiano conoscere meglio la sua verità. Ma, nonostante tutto questo, l’amore di Dio resta in eterno: solo il suo amore salva! (Vincenzo Rini)

(Fonte: AgenSir)