Creare spazi di dialogo, aperti a tutti, per mettere a confronto idee e proposte concrete per far ripartire l’Europa. L’esperienza vissuta in Vaticano con “(Re)thinking Europe” deve continuare. Intervista al cardinale Reinhard Marx, presidente della Comece. “In questo dialogo – dice – la Chiesa deve essere strumento di unità. Non siamo possessori di tutto. Non siamo possessori della verità. Ma siamo testimoni di speranza. E questo lo offriamo come un aiuto per la società”.
Creare spazi di dialogo e di confronto per ripensare l’Europa, mettere a confronto idee e proposte concrete, coinvolgere le persone nei processi costitutivi, trovare nuovi equilibri per stare insieme. È questa la proposta che emerge a Roma al termine di tre giorni d’incontro e dialogo “(Re)Thinking Europe. Un contributo cristiano al futuro del Progetto europeo”. A promuoverlo sono state la Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (Comece) e la Segreteria di Stato e ad accogliere l’invito 350 leader politici, vescovi e rappresentanti a vario titolo della società civile d’Europa. Non un incontro classico ma uno spazio di dialogo in cui gli incontri in aula si sono alternati a 18 workshop. La proposta finale è di continuare, promuovendo altre occasioni di confronto che possono prendere forme diverse – forum, assemblee, discussioni – ma che sono aperte a tutti. A lanciarla è il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, presidente della Conferenza episcopale tedesca e presidente della Comece, tracciando al Sir un bilancio finale dell’incontro.
Nel prendere la parola, papa Francesco ha detto: “Non è dunque questo il tempo di costruire trincee, bensì quello di avere il coraggio di lavorare per perseguire appieno il sogno dei Padri fondatori di un’Europa unita e concorde, comunità di popoli desiderosi di condividere un destino di sviluppo e di pace”. Sono parole di incoraggiamento. Ma l’Europa ha ancora la forza e l’energia per proseguire in questo progetto di Unione?
Nel corso di questo incontro abbiamo sentito che sì, in effetti, dobbiamo ricominciare e ritrovare la motivazione del nostro stare insieme.
In questo processo, i cristiani hanno un compito da svolgere, hanno una vocazione per l’Europa, hanno qualcosa da dire.
Quello che ci ha spinto a organizzare questo incontro, è stata l’intenzione di riunire le idee e confrontarle ma soprattutto ritrovare il coraggio e una motivazione più forte per impegnarsi per l’Europa. E il Papa ci ha detto questo: vale la pena. Vale la pena impegnarsi per il grande progetto dell’Europa. Chi è stato qui, riparte più motivato. E credo che questo sia il risultato più importante, l’obiettivo che ci eravamo prefissati.
L’Europa sta attraversando un periodo ricco di sfide nuove. Mentre si svolgeva il vostro incontro a Roma, a Barcellona si annunciava l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna. Il Papa ha parlato di unità e concordia. È ancora possibile parlare di unità quando i popoli in Europa si dividono?
Il Papa ha anche detto che
una Europa inclusiva e solidale, non vuol dire Europa uniforme.
Bisogna, allora, mettere in moto meccanismi di sussidiarietà, nuove forme di federalismi e autonomie giuste. È compito di ogni nazione e regione organizzare questi equilibri puntando su due principi importanti della dottrina Sociale della Chiesa: sussidiarietà e solidarietà. Credo che un organismo sociale non può funzionare senza tenere conto di questi due principi. Occorre, pertanto, trovare vie nuove. Nessuno può indicare la strada da percorrere all’altro. Ciascuno deve trovare la sua via. Ma se non si punta tutti a trovare questo equilibrio, tra sussidiarietà e solidarietà, comunione ed autonomia, nascono inevitabilmente tensioni ed è quello che stiamo vivendo in Europa.
Da più parti, in questi giorni, hanno detto che in Europa mancano spazi di dialogo aperti a tutti. Come pensate di proseguire per favorire la creazione di questi luoghi di incontro e confronto?
Mi viene in mente il processo di convenzione che fu attivato per la preparazione del Trattato per la Costituzione europea. Due anni di convenzione in cui si sono svolti incontri, congressi, discussioni per preparare il testo del Trattato. Processo che poi non è stato possibile a seguito dello stop alle ratifiche imposto dalla vittoria del no ai referendum in Francia e nei Paesi Bassi. Ma è stato un tentativo di coinvolgere la società civile in questo processo politico.
Stiamo vivendo ora in Europa una sorta di scetticismo verso il progetto europeo a causa dell’impressione che le persone hanno di non essere coinvolte, di non essere pienamente dentro a questo processo, di non essere parte della politica.
Anche il presidente Macron in vari interventi ha proposto dei Forum dei cittadini. È una proposta su cui si può riflettere. Credo sia oggi utile organizzare spazi di dialogo in cui sia possibile mettere a confronto idee e proposte per il futuro, per l’avvenire dell’Europa. Da questo dialogo, tenuto qui a Roma, emerge quanto sia importante organizzare incontri del genere. Abbiamo vissuto un buon dialogo tra leader politici, vescovi e rappresentanti della società civile. Tutti abbiamo sentito che era utile. Ora bisogna andare avanti. Il dialogo è necessario.
In questo dialogo qual è la voce della Chiesa. E riprendendo il tema dell’incontro, quale contributo i cristiani possono portare “al futuro del Progetto europeo”?
Aprire spazi comuni di dialogo. Noi abbiamo aperto delle porte a uno spazio di dialogo. A questo dialogo hanno partecipato persone pronte a mettersi in gioco, a confrontarsi. Abbiamo aperto le porte non solo ai cattolici, non solo ai cristiani. Abbiamo aperto le porte del dialogo a tutti. In questo dialogo la Chiesa deve essere strumento di unità. Non siamo possessori di tutto.
Non siamo possessori della verità. Ma siamo testimoni di speranza. E questo lo offriamo come un aiuto per la società.
Maria Chiara Biagioni