La cardiopatia ischemica è tra le malattie vascolari quella più diffusa nella popolazione maschile. Negli ultimi decenni anche la popolazione femminile ne è colpita con maggiore frequenza per i ritmi e le condizioni sociali che le donne oggigiorno conducono.
Al dottore Roberto Samperi, medico di medicina generale e specialista cardiologo, che svolge la sua professione nel territorio delle aci, abbiamo chiesto maggiori approfondimenti.
– Quali sono i sintomi premonitori di una cardiopatia ischemica?
“Un paziente che avverte una sintomatologia caratterizzata da dolore al precordio, dispnea, facile affaticabilità, pirosi epigastrica, rivolgendosi al cardiologo verrà sottoposto ad esame elettrocardiografico che, tuttavia, non sempre può mettere in evidenza la cardiopatia ischemica. Se questa non viene evidenziata, si passa alla diagnostica di 2° livello, che comprende ecocardiogramma – ecocolor doppler cardiaco ‘M-mode 2D’ (monodimensionale e bidimensionale) per individuare eventuali alterazioni della cinetica miocardica. Il successivo esame sarà il test da sforzo al cicloergometro o al tappeto ruotante, in cui il paziente viene sottoposto ad uno sforzo progressivo che dovrebbe evidenziare l’eventuale ostruzione del vaso coronarico attraverso alterazioni elettrocardiografiche significative. Se eventualmente, neanche con questo esame si dovesse arrivare a porre una diagnosi di cardiopatia ischemica, si può sottoporre il paziente o ad una scintigrafia miocardica, sia a riposo che da sforzo, o con un test farmacologico al dipiridamolo. Questa metodica risulta più sensibile rispetto al test ergometrico semplice, perché permette attraverso l’iniezione di radioisotopi (tallio o tecnezio), la identificazione di aree ischemiche, ovvero con deficit di perfusione sanguigna, che consentono la possibilità di diagnosticare con certezza la patologia coronarica”.
– Giunti ad una diagnosi di cardiopatia ischemica, come verrà trattato il paziente?
“Il paziente eseguirà una terapia farmacologica e verrà monitorato nel tempo per seguirne l’evoluzione attraverso l’uso di farmaci che comprendono: coronarodilatatori, antiaggreganti piastrinici, statine, ace-inibitori, betabloccanti, nitrati. Se la malattia coronarica è in uno stadio in cui la sola terapia farmacologica risulta insufficiente, si invierà il paziente al collega cardiologo emodinamista, che provvederà ad effettuare l’angioplastica coronarica mediante catetere con palloncino e successiva applicazione di stent metallico-medicato”.
Salvatore Cifalinò