Mamme e papà tornano tra i banchi. Per prendere la patente di “genitori digitali”, e imparare il funzionamento (e i pericoli) dei social più cool tra adolescenti e preadolescenti. Da Snapchat a Musical.ly., nomi di cui spesso non hanno mai sentito parlare. Difficile star dietro a figli sempre connessi, chini sullo smartphone o sorridenti davanti a una videocamera. Ma i suicidi di ragazzini bullizzati con contenuti online fanno ormai parte della cronaca.
Ecco perché Pepita Onlus ha creato a Milano il primo corso per “Genitori nella Rete”, con tanto di certificazione finale, rilasciato in collaborazione con Aica (Associazione italiana per l’informatica e il calcolo automatico).
I primi dati clinici a livello europeo, elaborati alla Casa Pediatrica del Fatebenefratelli Sacco di Milano, evidenziano come l’80% dei giovani pazienti sia in cura per patologie che hanno a che fare con l’uso del Web. Tra di loro, il 45% per cyberbullismo, il 40% per gioco azzardo on line, sexting e alienazione da smartphone e il 15% per sextortion, grooming, dipendenza da Internet. E secondo i dati della Polizia di Stato,
le denunce continuano a crescere: 350 nel 2017 e 235 nel 2016.
Negare l’accesso ai social non ha senso, perché tanto gli amici hanno il telefono e accedono da lì. Non bisogna demonizzare, ma conoscere quello che ormai è irrinunciabile. I nostri figli ci sono nati dentro, non percepiscono il mondo senza queste tecnologie
Nel rapporto con il Web, i genitori si dividono in tre tipologie. Quelli che si arrendono davanti alla tecnologia che avanza velocemente. Quelli che lasciano i figli in totale autonomia, senza sapere cosa viaggia sui loro smartphone. E poi ci sono quelli apprensivi, che arrivano a spiare i contenuti che i ragazzi si scambiano sui cellulari, chiedono l’amicizia su Facebook anche ai loro compagni di classe, o addirittura negano del tutto la possibilità di aprire un profilo sui social.
Tutto sbagliato. “Negare l’accesso ai social non ha senso, perché tanto gli amici hanno il telefono e accedono da lì”, insegnano al corso di Pepita Onlus. “Non bisogna demonizzare, ma conoscere quello che ormai è irrinunciabile. I nostri figli ci sono nati dentro, non percepiscono il mondo senza queste tecnologie. Certo si deve dire loro che c’è una vita al di fuori che va vissuta e si devono dare delle regole. Ad esempio: l’età minima per creare un profilo social è 13 anni, perché farlo prima come fanno in tanti?”.
Quello che Pepita Onlus propone è la creazione di un nuovo “patto educativo” che dia delle regole sull’uso di questi strumenti. I dati dicono che il 35% dei ragazzi ha inviato un messaggio o ricevuto una foto sexy. E il 50% ha ricevuto messaggi o foto sexy di altri coetanei. Bisogna responsabilizzare i ragazzi sui contenuti che pubblicano. Bisogna dire che tutto quello che pubblicano resta in Rete, che condividere immagini senza criterio è sbagliato. E i genitori devono sapere che lo strumento smartphone messo nelle mani del figlio in realtà è di loro proprietà e quindi devono poter avere ad esempio il codice per entrarci. Ma non per spiarli, semplicemente il figlio deve sapere che è un loro diritto.
Paola Dalla Torre