50° Concilio, una sfida da vincere

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“Oggi possiamo illuminare le nostre città in modo così abbagliante che le stelle del cielo non sono più visibili”. Suggestiva immagine per farci riflettere sul vero significato della Pasqua, “festa della nuova creazione”. Nella liturgia della veglia della notte, la madre di tutte le veglie per Sant’Agostino, il racconto della Genesi della creazione ci ricorda che Dio volle subito la luce per illuminare il mondo. Nella notte di Pasqua la luce che interrompe il buio in cui si trova la basilica, vuole essere proprio un ricordare che prima di tutto c’è la luce – lumen Christi pronuncia il diacono – c’è appunto il nuovo inizio.

Per secoli la Pasqua ebraica e quella cristiana hanno camminato assieme e, pur nei cambiamenti che sono avvenuti, il ciclo dei sette giorni tipico della Pessah è rimasto anche nella liturgia cattolica. Sette giorni è anche il tempo, secondo la Genesi, della creazione del mondo. E sette giorni, infine, è il tempo che descrive gli ultimi giorni di Cristo a Gerusalemme, dall’ingresso festoso sul dorso di un’asina – mai un re, un potente del tempo, avrebbe scelto un animale simile da cavalcare – ai giorni dell’ultima cena con i dodici, del tradimento, della morte in croce, della resurrezione. In una settimana passiamo dalla gioia al dolore, alla sofferenza; dal silenzio del tutto è compiuto alla pietra rotolata, al sepolcro vuoto.

In un certo senso il Concilio è stato un nuovo inizio. Pur nella continuità di una tradizione è stato uno spartiacque tra un prima e un dopo. Alla vigilia del Vaticano II la chiesa si trovava provata da secoli di lotta contro la modernità, da una contrapposizione con i poteri totalitari che avevano anche insanguinato il ventesimo secolo. C’era una sfida da vincere: riportare la luce, vincere il silenzio del sabato, il disorientamento, le nostalgie, le paure che segnano la vita del credente. Il racconto dei pescatori che tornano con le reti vuote e dicono non c’è più pesce, ci aiuta a comprendere meglio la novità conciliare. La risposta di Gesù è: non avere paura, vai al largo dove il mare è più profondo; non restare nelle solite acque ma osa, vai a cercare altrove.

Il Concilio è stato proprio questo messaggio: getta le reti dove il mare è più profondo. Lascia le solite abitudini, il già visto, già detto, e trova strade e parole diverse per raccontare una storia antica e sempre nuova.

Prendere il largo, dunque. Certo si corrono dei rischi, e ci si mette in gioco. Il Concilio è stato proprio un modo per rimettersi in gioco, per operare un cambiamento nelle logiche che il tempo aveva reso abitudine. Certo le novità hanno anche portato alcuni dissensi e fughe “in avanti”. Ma la riflessione di Papa Benedetto nella veglia di Pasqua ci ricorda che “la vita è più forte della morte. Il bene è più forte del male. L’amore è più forte dell’odio. La verità è più forte della menzogna. Il buio dei giorni passati è dissipato nel momento in cui Gesù risorge dal sepolcro e diventa, egli stesso, pura luce di Dio”.

Ecco il Concilio è stata la luce che ha riportato in primo piano il nostro essere cristiani, coniugando nuove parole e nuovi modi per esprimere la liturgia. Tra le nuove parole, “popolo di Dio” è il termine che deve farci riflettere più di tanti altri: è il nuovo stile di attenzione, di presenza che chiama il credente ad essere non più spettatore silente, ma attore, partecipe della liturgia e della evangelizzazione. Essere cioè quella luce che, nella notte di Pasqua, abbiamo visto passare di mano in mano,mentre si accendevano le candele, fino ad illuminare l’intera basilica. “Il buio su Dio e sui valori sono la vera minaccia per la nostra esistenza e per il mondo in generale” ha ricordato Papa Benedetto nella sua omelia. “Se Dio e i valori, la differenza tra il bene e il male restano nel buio, allora tutte le altre illuminazioni, che ci danno un potere così incredibile, non sono solo progressi, ma al contempo sono anche minacce che mettono in pericolo noi e il mondo”.

La nuova evangelizzazione cui ci richiama il Papa – e l’Anno della fede, che si aprirà il prossimo 11 ottobre, a 50 anni dall’apertura del Concilio ecumenico si inserisce in questo cammino – non è un ritorno al passato, non è un’operazione di nostalgia per tornare a quando la solennità del rito non chiedeva la comprensione, la partecipazione del credente. Ma è, appunto, un gettare le reti al largo, un riscoprire nelle aperture conciliari quella vera luce che rischiara il mondo. Il rinnovamento conciliare della chiesa era voluto proprio in funzione del rendere sempre più efficace e più incisiva la sua missione nel mondo. L’assenza di speranza è la malattia mortale delle coscienze nella nostra come in ogni epoca. Il Concilio è stato, ed è una grande occasione di speranza per uscire e andare incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo, lasciandosi dietro il sabato del silenzio, della paura, del disorientamento, delle nostalgie. Perché ancora una volta è domenica.

Fabio Zavattaro