Le dipendenze rappresentano un problema non solo sanitario ma anche una questione familiare e sociale. Essere afflitti da questo male comporta il manifestarsi di una grande onda di angoscia e dolore che coinvolge e travolge l’entourage domestico e lavorativo, limitando l’opportunità di godere una vita serena. Chi si trova ad essere vittima di una dipendenza è prima di tutto vittima di un male, spesso quello di “vivere”. Un disagio che affonda le sue radici in fattori biologici e psicologici il cui sviluppo può, comunque, essere legato all’ambito familiare e ambientale. Su tutto poi prevale il senso di vuoto esistenziale, la precarietà dei legami e lo sfilacciamento delle relazioni e la perdita dei valori concepiti in modo astratto, lontano dall’essere umano e dalla sua umanità.
Certamente il ruolo delle agenzie educative è alla base di tali problematiche. Il venire al mondo non deve essere un fatto casuale, ma rappresenta la promessa di una presa in consegna compiuta con amore. La mancanza di questo prendersi cura dell’altro è “corrosiva” e sta alla base di un possibile risentimento nei confronti dell’esistenza con tutte le successive conseguenze. È facile capire, come anche la letteratura relativa descrive, che la rete delle dipendenze rappresenti un modo per superare ed eludere infanzie talora attraversate da abusi fisici e violenze psichiche.
Tali aspetti evolutivo-relazionali della dipendenza patologica sono bene evidenziati nei contenuti degli articoli che compongono la sezione monotematica della rivista semestrale “Bioetica e Cultura” n. 40 edita dall’Istituto Siciliano di Bioetica. La scelta di coniugare la bioetica alle dipendenze nasce, come il direttore scientifico afferma nel suo editoriale, dalla necessità di evidenziare “un angoscia esistenziale che aggredisce soggetti ancora giovani afflitti dall’incertezza verso un futuro di cui sono stati usurpati e prigionieri di un presente disperato (…). La dipendenza è soprattutto un tema bioetico in quanto essa costituisce un grave attentato alla vita umana ed un fattore di deterioramento della dignità ontologica dell’uomo”.
Tutti gli interventi sottolineano tale malessere e seguendo una prospettiva etico-scientifica tracciano un ampia parabola descrittiva, molto efficace, del fenomeno: dalla esposizione delle più comuni dipendenze patologiche ai possibili percorsi di prevenzione e al ruolo dei Ser.T. e dei C.I.C.; dalla dipendenza da alcol alla sex addiction; dal gioco d’azzardo patologico al bullismo come neo forma di violenza gratuita e ripetuta priva, talvolta, di un possibile ravvedimento.
Questo numero potrebbe concedere interessanti spunti di riflessione per coloro che non si arrendono alle difficoltà che la cura dei problemi dei più giovani può comportare. Di tutte quelle esistenze attraversata talora da una “divina indifferenza” che rende incapaci di scegliere tra ciò che è bene e ciò che è la sua antitesi, sopraffatti da una illimitata libertà che non concede i giusti vincoli e risposte definite.
Maria Grazia Condomitti