È possibile individuare almeno tre percorsi di via Crucis nel territorio di Acireale, tra il ’600 ed il ’700. Questa constatazione è emersa nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2018/2019 dell’Università Popolare “Giuseppe Cristaldi”, svoltasi giovedì 25 ottobre scorso nella affollata sala “Cristoforo Cosentini” della Biblioteca Zelantea.
Dopo i saluti del presidente dell’Accademia ospitante dott. Giuseppe Contarino e del presidente dell’U.P.G.C. prof. Angelo Pagano, infatti, sono state presentate due interessanti relazioni sugli altarini di Acireale. Nella prima, il prof. Sebastiano Di Marco, docente di topografia presso l’Istituto tecnico “Galileo Ferraris”, ha esposto i risultati di un censimento con relativa mappatura effettuato dai suoi alunni nel corso di un progetto di alternanza scuola-lavoro, finalizzato al recupero ed alla valorizzazione delle antiche edicole votive acesi. Il prof. Francesco Calì, ex docente universitario e segretario generale dell’Accademia degli Zelanti e Dafnici, ha invece illustrato, avvalendosi pure di antiche piante cittadine dell’epoca, gli storici percorsi seguiti per la pia devozione della “Via Crucis” durante il periodo pasquale.
Un primo percorso, utilizzato prima del 1656, partiva dall’antica chiesetta della Madonna dei Miracoli (adesso inglobata all’interno del Cimitero) e attraverso le stradine di campagna della zona (che allora chiaramente non era edificata) arrivava al convento di San Biagio, per proseguire poi, attraverso il tracciato delle attuali vie Capuana e Verga (detto via Sacra, “Vasara”), fino alla parte alta dell’attuale corso Savoia (dove sorgerà poi il palazzo del barone di Santa Lucia). Lungo tale percorso, c’erano delle postazioni che ricordavano le vicende tragiche del processo e della crocifissione di Gesù Cristo, in numero variabile, perché non era stata ancora definita l’attuale impostazione di 14 stazioni.
Le cose cambiarono nel 1656, quando venne a predicare gli esercizi spirituali, in occasione della Santa Pasqua, il gesuita licatese padre Luigi La Nuzza, il quale individuò nella chiesetta del Santissimo Salvatore il luogo del Calvario cittadino, facendo erigere, nella collinetta attigua alla chiesa, tre croci che ricordavano il luogo della crocifissione di Gesù. Lungo un percorso che partiva da piazza Duomo, la prima sosta era quella dell’attuale piazza Porta Cusmana, che segnava all’epoca il confine del centro abitato (e dove nascerà qualche anno dopo la Porta Gusmana, che costituiva appunto uno degli ingressi della città).
Il percorso si snodava poi verso nord, fino al “Calvario”, con sei “altarelli” mobili, che in un secondo momento furono costruiti in muratura (come risulta da una pianta del 1770). Di tali “altarelli” non esiste più traccia, tranne i due posti all’inizio e alla fine, e cioè quello di piazza Cusmana (che rappresenta l’ultimo incontro tra Gesù e la madre Maria, cioè la cosiddetta “spartenza”, ovvero la separazione, il saluto definitivo) e quello posto all’incrocio tra corso Savoia e viale Principe Amedeo (con la crocifissione di Gesù). Un ulteriore prolungamento del percorso sarebbe stato poi allestito a partire dalla chiesa del Santissimo Salvatore (che si trovava all’epoca alle porte del bosco di Aci), con sette stazioni che ricordavano i sette dolori della Madonna; tale percorso si concludeva nei pressi del santuario di Loreto, con un altarino che è ancora esistente (anche se modificato e rimaneggiato) alla confluenza tra la via Loreto-Balatelle e la via del Santuario.
Il terzo percorso è stato illustrato, in uno degli interventi, dal prof. Gaetano Puglisi, già docente di Storia Romana presso l’Università di Catania, il quale, partendo dalla definizione di “stationes”, che erano le tappe, all’epoca dei Romani, che l’esercito faceva per raggiungere il luogo della battaglia, ha parlato di un percorso che, partendo dalla chiesa di San Crispino (ubicata in via Vittorio Emanuele, poco più sotto di San Sebastiano), raggiungeva – passando per la piazza Commestibili (attuale piazza Marconi) e la via San Giuseppe – piazza San Biagio e che veniva fatto fare ai condannati a morte. Siamo nell’epoca in cui il carcere (poi abbattuto) si trovava al posto dell’attuale villetta di piazza Lionardo Vigo, da cui i condannati venivano portati nella vicina chiesetta di San Crispino (detta proprio per questo degli “Agonizzanti”) per gli ultimi conforti spirituali. Venivano poi condotti a percorrere una sorta di cammino penitenziale che riproduceva l’itinerario effettuato da Cristo fino al Calvario e che era articolato proprio in 14 stazioni (secondo quanto si ritrova anche nel vangelo di San Marco, a cui si sarebbe successivamente ispirata anche la ritualità cristiana). E proprio la piazza San Biagio era infine il luogo del patibolo, al centro della piazza, dove sorge adesso una croce in ferro.
Tra sacro e profano, è stata una opportunità per approfondire e conoscere meglio la storia e le tradizioni della nostra città.
Nino De Maria