Ricordo / Don Alfio Maccarrone: prete secolare, uomo di mare e di campagna

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Padre Alfio Maccarrone (foto d'archivio La Voce dell'Jonio - 2014)

Gracile, con uno sguardo che parlava da solo, un appassionato di storia. Inseparabile dal suo crambes, il cappello che indossava anche con l’abito talare. È questo il mio racconto di don Alfio Maccarrone, morto il 7 novembre scorso all’età di 92 anni. Al nostro primo incontro tenne a sottolineare che nonostante la sua età (al tempo dell’intervista aveva 87 anni) si sentiva “vispu e ca’ menti bona”. All’epoca lo raggiunsi nella sua canonica a Santa Maria La Scala, il borgo marinaro che lo ha consacrato come il parroco più longevo della nostra diocesi (parroco per ben 60 anni). Una memoria viva e limpida quella di don Alfio Maccarrone, testimone autentico del ventunesimo secolo.

Nacque a Monacella il 29 luglio 1926, allora appartenente al comune di Giarre. La sua fu una modestissima famiglia di campagna che viveva di ciò che la terra gli donava. Nel biennio 1938/39 entrò in Seminario e fu allievo dei rettori monsignor Pelluzza, Sozzi e Russo. Ricevette gli ordini sacerdotali il 2 luglio 1950 con il vescovo Mons. Salvatore Russo, dopo un percorso di studi durato ben dodici anni e segnato da straordinari quanto travolgenti eventi, come lo scoppio e il tragico susseguirsi della Seconda Guerra Mondiale, nell’anno santo 1950 ricevette il suo primo incarico in qualità di vice parroco nella Parrocchia di San Mauro di Aci Castello. Quattro anni dopo, nel 1954, fu la volta di Santa Maria la Scala, in qualità di Parroco, ministero pastorale poi conclusosi il 13 gennaio 2014 con l’ingresso del nuovo parroco don Francesco Mazzoli.

Prima dell’intervista per la nostra testata sui “preti secolari” (nel 2013) conoscevo già don Alfio Maccarrone. Ogni sabato, da solo e alla guida della sua Uno Fiat bianca, da Santa Maria La Scala saliva a Monacella, nella sua campagna di famiglia. Spesso si fermava al panificio dei miei genitori per acquistare i “cuccitateddi” ben cotti per poi far ritorno a casa sua, nel suo borgo, tra la sua gente. Prima che salisse in macchina immancabilmente chiedeva di parlare con mio padre e per rispolverare un po’ di ricordi legati all’infanzia e la vita spicciola e modesta dei borghi di Dagala e Monacella anche se da punti di vista diversi (ben 40 anni di differenza!)

Domenico Strano

 

Ripubblichiamo la nostra intervista del 2013 nell’ambito della rubrica “Preti secolari”

Don Alfio, qual è stato il primo impatto con la comunità di Santa Maria la Scala subito dopo esserne diventato Parroco?

“L’inizio non fu facile. Molta gente era andata in cerca di fortune in Argentina e quella che trovai si dimostrò dapprima diffidente. Oltre alla diffidenza poi riscontravo spesso una miseria emotiva. Erano anni infatti in cui si pativa ancora la fame e la miseria del dopo guerra. Il mio predecessore, don Carmelo Musumeci, anch’egli originario delle zone di Monacella come me, nel 1935 contribuì all’allargamento della Chiesa, della canonica e delle stanza poste sotto la Chiesa. Grazie a lui trovai, almeno per quello che riguardava gli spazi, una situazione discreta.”

C’è un ricordo particolare dei primi anni da Parroco che le ritorna in mente?

“Sì. Ho un ricordo poco felice ma importante. Parlo della festa del 1956. Casualmente esplosero i petardi, che allora conservavamo in Sacrestia, a causa delle micce calde depositate vicino ad essi. L’esplosione danneggiò la sacrestia e creò tanto panico tra i fedeli. Fin qui il ricordo è poco felice. È importante invece perché feci in tempo a non entrare in sacrestia, grazie al fatto che andai ad accertarmi se l’organo era del tutto funzionante. Per fortuna ne rimasi illeso io e i fedeli. Nacque così l’idea di ringraziare ogni anno la Madonna con affetto per tale avvenimento. Per sistemare la sacrestia furono indette delle collette tra i fedeli. Come segno di devozione alla Madonna abbiamo elevato la colonna votiva, sopra la quale si erge la Statua di Maria SS. ma della Scala che guarda il mare, in pietra di Vicenza, che pesa tre tonnellate ed è alta più di tre metri. Nel 1959 ci fu la cerimonia d’inaugurazione. Questa colonna è il sigillo della storia e dell’identità di questa comunità. Ogni anno per la festa si svolge una gara con le caratteristiche barche “conzare” con a bordo i pescatori.”

Don Alfio, le rivolgo adesso una domanda tutt’altro che scontata: cos’è per lei la Fede?

“Non è quello che si pensa. Spesso la intendiamo come folklore. La fede sincera manca un po’ dappertutto. Alla gente interessa la ricerca del benessere materiale invece che cercare la vera pace. La fede per me è tornare a Dio. Questo è ciò che serve veramente.”

Non posso non chiedergli un pensiero su Papa Francesco…

“Credo, forse, che si espone troppo! La sua semplicità è travolgente. Sono rimasto colpito da quella chiamata alle suore in Spagna. Questi gesti sono molto umani.”

In tutti questi anni di ministero pastorale a quale figura biblica si è affidato? E quale immagine plastica attribuisce alla realtà della parrocchia?

“Come riferimento per ovvie ragioni ho avuto Lei, la Madonna. Mi ha aiutato in questa parrocchia. Per me la parrocchia è stata ed è come una barca in mezzo al mare in balia delle onde che sfida gli avvenimenti lieti e meno lieti.”

Don Alfio, quali sono i suoi rimorsi e le sue soddisfazioni dopo un ministero pastorale durato quasi mezzo secolo?

“Qualche rimorso c’è, come è normale che sia quanto abbiamo a che fare con tante persone con carismi e personalità diverse. Penso ai pettegolezzi e all’ipocrisia che nel tempo ho notato.  Ma la più grande soddisfazione è l’aver realizzato la colonna votiva a Maria SS. ma della Scala, a mare.  Non ho mai smesso ogni sera di fissarla dalla finestra della mia stanza per rivolgergli una preghiera d’affetto. Infine, un’altra soddisfazione è l’aver trascorso tanto tempo della mia vita tra il mare e la campagna, a contatto diretto con il Creato che il Signore mi ha donato”.

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