Lionardo Vigo, nato ad Acireale, il 25 settembre 1799, in una famiglia nobile, è tra i più grandi esponenti della cultura siciliana dell’Ottocento: poeta, filologo, storiografo, tra i primi studiosi di folklore, dedito alla causa della libertà siciliana e al progresso della cultura.
Frequenta l’Oratorio dei Padri Filippini, successivamente il “Cutelli” di Catania; nel 1822 si laurea in giurisprudenza all’Università di Catania. L’anno seguente pubblica a Palermo un libro di poesie e prose; dopo di che effettua un lungo viaggio in Sicilia. Nel 1826 diviene Ricevitore generale ad Agrigento. Nel 1831 sposa Carlotta Sweeny, figlia di una coppia inglese-siciliana. Dopo due anni nasce la figlia Carlottina e muore la moglie.
Amante della sua città, pubblica “Notizie storiche della città di Acireale”. Sostenitore della specificità politica e cultore della Sicilia, nel 1848, partecipa ai moti rivoluzionari ed entra nel Parlamento siciliano. Nel 1854, sposa in seconde nozze la popolana Marianna Famoso.
In seguito pubblica i “Canti popolari siciliani”e inizia la stesura del libro “Protostasi sicula”, ovvero genesi della civiltà. Nel 1897, G. Grassi Bertazzi pubblicherà un saggio su tale opera di Vigo: sviluppa la tesi che sia un errore credere nella civiltà venuta dall’oriente in occidente, dall’India in Europa. “La prima luce della civiltà si ritrova nell’Atlantide: una terra che doveva abbracciare la Sicilia, Malta e altre isolette minori, estendendosi verso oriente. Prima che Atlantide sprofondasse nel Mediterraneo, sorse la civiltà atlantica, detta anche pelasga, che si diffuse nella penisola italica, in Grecia, Egitto, Fenicia, Asia minore, Caldea, Media, Persia, India”.
Vigo cercò di provare questa sua opinione attraverso la lingua, la storia e così via, concludendo che l’italiano è figlio del siciliano; la Sicilia, madre dell’Italia.” In effetti, la Protostasi potrebbe definirsi una forma di testamento politico e letterario, in cui L. Vigo sostiene che l’origine della civiltà occidentale dovesse essere riscoperta negli albori del popolo siciliano.
Tucidide identifica gli Atlanti con i sicani, discendenti del ciclope Briareo. Anche nel primo idillio di Teocrito, Sicano è figlio di Briareo; i Sicani quindi discendenti dei Ciclopi, non degli Iberi, come sostengono altre tesi. Gli Iberi, se vennero in Sicilia, la trovarono già abitata. Lo studioso tedesco Niebueir segue la tesi di Plinio circa i Siculi, considerati pelasgi, consanguinei dei Sicani: dalla Sicilia passarono nel Lazio e poi viceversa. Siculi e sicani sono Itali. Dionigi di Alicarnasso e Strabone ci hanno conservato la testimonianza di Antioco, il più antico degli storici siciliani Gli Elimi, discendenti dei pelasgi, erano provenienti dalla Troade: si fermarono in Sicilia. Interessanti, le citazioni di passi scelti di Platone e di Diodoro Siculo.
Nel 1861 Lionardo Vigo viene eletto Consigliere comunale, poi Ispettore agli studi per il circondario di Acireale, ma perde il posto nel 1864. In seguito, pubblica “Il Ruggiero” e “Dante e la Sicilia”. E’ del 1874, l’ “Amplissima raccolta dei canti popolari siciliani”. Nell’ultimo capitolo “Addio”, Vigo sostiene come dal 1823 val 1874 si sia dedicato alla raccolta dei canti popolari di tutti i centri della Sicilia, suddivisi in LIX categorie. Tra i suoi collaboratori, cita il Pitrè. Afferma che nel 1857 pubblica i nomi di quanti avevano raccolto i canti e glieli avevano spediti. Contemporaneamente cita alcuni episodi singolari. Ad esempio, interessante, la vicenda di Mazara e specie quella di Scicli con la grande riscossa dell’anno 1000 : l’annuale ricordo viene celebrato con la festa della ‘Bella Maria’, “nella quale combatte armata a cavallo la Vergine accosto al G. Conte Ruggiero.”
Lionardo Vigo muore in Acireale, il 14 aprile 1879. Alla memoria del suo nome intemerato va unito quello eccellente dei sodalizi degli Zelanti e dei Dafnici, che risalgono l’uno al 1671, l’altro al 1778, da lui commemorati nel terzo e secondo centenario, quale luce perenne per la Sicilia e le sue genti.
Tra le opere di Vigo è ritenuta ottima la raccolta amplissima di canti popolari siciliani. Vigo, nella Prefazione al suo relativo volume, sostiene che la poesia nasce in oriente: “benché patrimonio ella si fosse di tutti i popoli, perché ingenita facoltà dell’anima umana; si spande vivace ubbidendo alla benefica influenza della luce e del calorico, e tarda all’incontro e restìa fra le inclemenze meteorologiche, i geli e la nebbia.” Attribuisce alla Sicilia la capacità di “fare suo patrimonio il verso e la musica.” Cita tra i primi poeti siciliani Dafni, che rappresenta i rustici dei canti pastorali; Stesicoro; Meli.
Per quanto riguarda la poesia “rustica”, Vigo afferma che in tutti i secoli il pensiero del popolo si è espresso nei canti, nelle varie lingue, parlate da quanti hanno dominato la Sicilia, però il tempo è stato tiranno, cancellando i canti popolari siciliani delle epoche greca, romana, bizantina e araba. Interessante la citazione sulla disfatta degli Ateniesi nella battaglia contro Siracusa. I greci prigionieri vennero rinchiusi nelle latomie: molti di essi riuscirono a salvarsi, recitando i versi di Euripide, che, secondo Plutarco, attraevano i siciliani, impegnandosi anche ad impararli a memoria. Quanti riuscirono a tornare in Grecia, andavano da Euripide e gli dicevano che per merito suo da schiavi erano diventati liberi. Altrettanto interessante la citazione di Federico II che a Palermo fondò la prima Accademia di “volgare favella”, per cui Dante proclamò che tra i 14 volgari italici, il siciliano aveva il primato, “il più onorevole”. Petrarca, nei “Trionfi” e nelle epistole familiari attribuisce al volgare siciliano l’essersi “sparso per tutta Italia”.
Il Vigo riconosce come Federico e il figlio Enzo, entrambi poeti, sono molto ammirati; cita il Foscolo, che, nel giudicare Pier delle Vigne, lo pone al di sopra dei suoi contemporanei. Il Vigo rileva come il popolo siciliano, oltre alla poesia, “ ha creato il suo romanzo popolare. … Il popolo delle città si delizia oggi de’ Reali di Francia, di Orlando, di Ricciardetto; quello delle campagne dell’Aceddu ‘nfatatu ecc.” Fa riferimenti a storie norvegesi, ai Nibelunghi, storie appartenenti alla stirpe gotica, dove tra i poveri la poesia è come un angelo consolatore. Per quanto riguarda l’Atlantide, seguendo il “Crizia” di Platone, parecchi autori dell’antichità hanno trattato di tale terra: i Greci avrebbero cacciato il popolo degli Atlanti, giunto nel Mediterraneo dall’isola dell’Atlantide, posta ad ovest dello Stretto di Gibilterra, inghiottita dal mare in un cataclisma avvenuto circa nel 9600 a. C. Dalla pubblicazione della “Nuova Atlantide” del filosofo Francesco Bacone (1561-1626 ), secondo il quale la scienza permette all’uomo di dominare la natura, ad altre opere di autori europei posteriori, tra cui lo svedese Olaf Rudbeck (1679-1702) e il catalano Jacinto Verdaguer (1876), si discute di quest’isola leggendaria.
Dai “Canti popolari siciliani”
Gli occhi
Occhiu nireddu, ca mi fai muriri,
non fari cchiù stu cori piniari:
lu tò focu mi ha fattu ncinniriri,
li toi modi mi fannu addurmintari;
nun ni videmu, e lu cori mi tiri,
pensa si nui n’avissimu a parrari;
non mi fari ccchiù dunca ‘ntisichiri,
chistu è lu tempu ca si divi amari.
Gelosia
Cu quali cori stati amannu a dui,
comu ti ni voi serviri di mia?
Fici lu votu di ’un t’amari cchiui,
siddu t’avissi amari è gran pazzia,
lu focu s’astutau, ‘un s’adduma cchiui,
né mancu fa ddi vampi chi facia:
un tempu muria eu pr’amari a vui,
ora muriti vui pr’amari a mia.
Il numero complessivo dei canti siciliani, raccolti da L. Vigo, oltre i non numerati, N. 5557
Anna Bella