Libri / Come affrontare la morte: una personale chiave di lettura del magistrato napoletano Savarese

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“ A moriri c’e’ sempri tempu”, recita un antico motto popolare siciliano, quasi ad indicare che della morte non bisogna parlarne, come se essa non ci appartenesse. C’e’ un senso di paura, quasi un tabu’ che avvolge la morte, ecco perche’ tentiamo di esorcizzarla. Eppure essa, per il solo fatto di essere nati, ci appartiene. E’ vero che non dobbiamo essere fautori del “memento mori”, ma e’ pur vero che non possiamo vivere senza pensare a “Sora nostra morte corporale, da cui nullo homo vivente po’ scappare”, come recita Francesco d’Assisi nel suo bellissimo Cantico di Frate Sole.

Nel mio ormai trentennale ministero presbiterale, ho avuto molte, moltissime, occasioni di accostarmi al mondo della morte, nelle sue piu’ svariati forme, da quella “naturale”, per limiti di eta’, a quelle precoci per malattie, incidenti stradali, morti improvvise a quelle di suicidio. Ogni volta bisogna entrare sempre in “punta di piedi”, perche’ taluni momenti richiedono la compartecipazione solo attraverso il silenzio (che non e’ mutismo) e la vicinanza.

Sara’ stata, forse, mera curiosita’ che mi ha spinto a leggere l’ultimo di Libro del Magistrato napoletano Eduardo Savarese, “Il tempo di morire” (Wojtek edizioni). Un lucido, scorrevole, agile e nel contempo profondo riflettere sulla morte di cui, come scrive lui stesso nella dedica, “parla con disinvoltura”.

Il testo si compone di undici Capitoli in cui l’A. affronta, da laico credente, “l’enigma della morte” (come lo definisce la Gaudium et Spes al n. 18). Egli parte dalla sua prima esperienza della morte avuta a soli quattro anni, per la morte improvvisa del papa’ trentanovenne. Da questa esperienza muove i passi analizzando e riflettendo sul senso della debolezza umana; sull’orrore della morte; la morte improvvisa; la morte precoce; il suicidio; il tema dell’Eutanasia e le leggi sulla morte; le esperienze di uomini e donne che hanno segnato, in questi anni, il tema della morte. Insomma, egli si muove, su un circuito quotidiano, dove – a dirla con la sequenza pasquale – “mors et vita duello conflixere mirando”.

La lucida analisi del tema, accompagnato da esperienze bibliche e da vari autori della letteratura e della storia della musica, oltre all’esperienza di testimoni autorevoli, rende la lettura piacevole e immerge in un mondo nuovo, che e’ proprio quella della morte.

Nella quarta di copertina, Mario Fortunato scrive: “Noi occidentali quasi sempre giochiamo a nascondino con la morte, ma lei di solito ci frega. Questo libro, che sul tema non da’ lezioni e non fa prediche, ci insegna a non farci fregare piu’”.

A conclusione della lettura, mentre tenevo il libro tra le mani, mi sovvenivano alla mente le parole di don Tonino Bello nella meditazione su Maria, donna dell’ultima ora, in cui il Servo di Dio scrive: “Santa Maria, donna dell’ultima ora, quando giungerà per noi la grande sera e il sole si spegnerà nei barlumi del crepuscolo, mettiti accanto a noi perché possiamo affrontare la notte. È un’ esperienza che hai già fatto con Gesù, quando alla sua morte il sole si eclissò e si fece gran buio su tutta la terra. Questa esperienza, ripetila con noi. Piàntati sotto la nostra croce e sorvegliaci nell’ ora delle tenebre. Liberaci dallo sgomento del baratro. Pur nell’eclisse, donaci trasalimenti di speranza. Infondici nell’ anima affaticata la dolcezza del sonno. Che la morte, comunque, ci trovi vivi! Se tu ci darai una mano, non avremo più paura di lei”.

Credo che in sintesi il libro voglia spronarci proprio a questo non a subire la morte, ma ad affrontarla,: non a morire prima, ma a farci trovare da essa vivi !

Don Roberto Strano