“Le donne al Concilio non sono state invitate per caso: la Chiesa era in forte trasformazione e Giovanni XXIII ha saputo intercettare il fermento in atto. Le donne nella Chiesa c’erano prima, durante e dopo il Concilio”. Ne è convinta Marinella Perroni, presidente del Cti (Coordinamento teologhe italiane), che ha aperto a Roma, presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, il convegno teologico internazionale organizzato dal Cti (www.teologhe.org), in occasione del 50° anniversario dell’apertura dell’assise conciliare, sul tema: “Teologhe rileggono il Vaticano II: assumere una storia, preparare il futuro”. L’abbiamo intervistata.
Come definirebbe lo “sguardo” delle teologhe sul Concilio, 50 anni dopo la sua apertura?
“Innanzitutto, direi uno sguardo di gratitudine. Le teologhe vogliono rendere grazie al Concilio per un fatto della Chiesa che ha così profondamente cambiato la vita delle donne. Le donne c’erano anche prima del Concilio, ma la riscoperta del laicato che ha caratterizzato i lavori conciliari ha fatto delle donne una sorta di laiche ‘al quadrato’. A partire dal Vaticano II, infatti, si sono aperti gli studi teologici anche per le donne cattoliche: ciò ci permette oggi di guardare e di provare a interpretare questi 50 anni di storia della Chiesa dal nostro punto di vista, perché abbiamo ormai acquistato uno statuto che ci permette un protagonismo ermeneutico, un’interpretazione originale dei frutti che si sono prodotti in questo mezzo secolo. Le donne, in altre parole, dal Concilio sono state legittimate come soggetto interpretativo: non a caso il presidente della Repubblica ha conferito la medaglia al valore per il valore culturale e sociale della nostra iniziativa. Laicità vuol dire anche riconoscimento di quello che già siamo: una risorsa per la società civile”.
Per la prima volta il Concilio ha aperto la porta alle donne, con la presenza delle 23 uditrici in aula: quanto hanno influito?
“A mio avviso, quando i padri conciliari hanno invitato le donne in aula, non sapevano bene cosa questo gesto avrebbe significato: la loro presenza è andata sicuramente al di là delle aspettative. Le uditrici, infatti, erano state invitate in aula all’insegna del silenzio e dell’ascolto: le donne sono state fedeli a questa consegna, ma i lavori del Concilio non si svolgevano soltanto dentro l’aula, c’erano i rapporti interpersonali, le Commissioni, i lavori per i documenti… Alcuni vescovi e teologi le hanno fatte entrare, e lì potevano parlare: così, c’è stata una sorta di lenta conquista di parola, lì dove le donne ne avevano diritto”.
Come è cambiato il modello di donna nella Chiesa, dal Concilio alla lettera apostolica “Mulieris Dignitatem” di Giovanni Paolo II?
“In questi 50 anni, l’emersione del soggetto femminile è stato un dato di fatto, che ha trasformato le donne, nelle loro condizioni di vita, e ciò è avvenuto anche nella Chiesa, che non è separata dal mondo, ma risente a suo modo della stessa storia del mondo e delle sue evoluzioni”.
E dalla “Mulieris Dignitatem” ad oggi?
“Certamente le donne sono diventate un tema del magistero, e questo oltre ad essere una novità assoluta è un fatto fondamentale. Nel pensiero di Giovanni Paolo II e in quello di Benedetto XVI, le donne sono presenti proprio in quanto soggetti storici, che si affacciano all’interno di trasformazioni storiche. Le donne in questi ultimi decenni hanno cambiato identità, sotto la spinta di trasformazioni anche faticose, sia nella fase della rivendicazione, sia nella fase dell’emancipazione, così come più in generale nell’evoluzione del pensiero di genere. Il mondo delle donne è quello più attento a intercettare le aperture verso una trasformazione, anche se questa operazione è spesso molto faticosa: lo sguardo femminile è ‘umanizzante’, grazie al loro rapporto privilegiato con la vita”.
Quali sono le questioni aperte, e quali le sfide da affrontare per il futuro?
“Prima di tutto, secondo me, dovremmo operare una trasformazione del linguaggio: fino a quando, infatti, si parlerà di teologia ‘al femminile’, il pericolo in agguato è quello di un certo riduzionismo, o di una sorta di ghettizzazione, del pensiero delle donne rispetto a quello degli uomini. Non esiste un pensiero ‘al maschile’ e un pensiero ‘al femminile’, ci sono uomini e donne che ripensano se stessi e rileggono la storia a partire dal loro punto di vista, ma nell’ottica della reciprocità. Fino ad oggi, le donne si sono occupate molto delle donne, mi piacerebbe che anche gli uomini si occupassero degli uomini. Il futuro dipende dalla capacità di ragionare insieme, avendo acquisito che anche la ‘differenza’ gioca un ruolo”.
a cura di M.Michela Nicolais