La fotografia di metà anno delle carceri italiane, fornita dall’associazione Antigone, evidenzia il tasso di sovraffollamento più alto dell’Unione europea. A Como, Brescia, Larino e Taranto le difficoltà maggiori. In calo i reclusi di altre nazionalità. 26 i suicidi da inizio anno. Sui numeri e sulle criticità abbiamo raccolto il parere dell’ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane
Le carceri italiane continuano a essere sovraffollate. Ad attestarlo il nuovo rapporto “Numeri e criticità delle carceri italiane nell’estate 2019” presentato da Antigone, a Roma. Numeri impressionanti. “Al 30 giugno 2019 i detenuti ristretti nelle 190 carceri italiane erano 60.522. Negli ultimi sei mesi sono cresciuti di 867 unità e di 1.763 nell’ultimo anno. “Il tasso di sovraffollamento, rileva il rapporto, è pari al 119,8%, ossia il più alto nell’area dell’Unione europea, seguito solo da quello in Ungheria e Francia”. Un dato preoccupante se messo a confronto con quello del Ministero della Giustizia secondo cui i posti disponibili nelle carceri italiane sono 50.496, e che, sempre secondo Antigone, non tiene conto delle sezioni chiuse. Una situazione esplosiva che si spiega, prosegue il rapporto, “con l’aumento della durata delle pene”. Gli stranieri in carcere poi, negli ultimi 10 anni, “sono diminuiti del 3,68%”. Una sezione a parte riguarda le condizioni di vita all’interno delle carceri. “Stanno peggiorando”, si legge nel testo. Nel 30% delle carceri visitate da Antigone non risultano spazi verdi dove incontrare i propri cari e i propri figli. Solo nell’1,8% vi sono opportunità di lavoro alle dipendenze di soggetti privati. Inoltre, nel 65,6% delle carceri non è possibile avere contatti con i familiari via skype, nonostante la stessa amministrazione e la legge lo prevedano, mentre nell’81,3% delle carceri non è mai possibile collegarsi a internet. “Il peggioramento della qualità della vita si ripercuote anche sul numero dei suicidi. Il 2018 – evidenzia il rapporto – fu un anno drammatico e nel 2019 quelli che si sono verificati negli istituti di pena italiani sono già 26”. E ancora: il 44% dei detenuti viene da Campania, Puglia, Sicilia e Calabria, ossia chi finisce in carcere arriva da situazioni di povertà economica e culturale. Infine, al 30 giugno 2019 sono 54 (26 stranieri e 28 italiani) i bambini presenti nelle nostre carceri insieme alle mamme detenute. Riflettiamo su questi dati con don Raffaele Grimaldi, ispettore generale dei cappellani nelle carceri italiane.
Le nostre carceri sono quelle più sovraffollate in Europa…
Nelle 190 carceri italiane nell’ultimo periodo effettivamente il problema è aumentato. Alcuni reparti sono chiusi perché avrebbero bisogno di una ristrutturazione. La mancata manutenzione è, quindi, un aspetto di cui tener conto. Girando per le carceri italiane, tante volte trovo reparti fatiscenti, ma non ci sono i fondi per le ristrutturazioni. D’estate, poi, i detenuti soffrono particolarmente, anche perché i corsi si fermano, diminuiscono i volontari, parte del personale va in ferie: tutte figure che, di solito, li aiutano a superare momenti di crisi, legati anche alle condizioni di vita.
Il sovraffollamento non è legato tanto a nuovi ingressi, ma all’allungamento delle pene…
Bisognerebbe dare fiducia ai detenuti. Molti di loro potrebbero usufruire dei benefici delle misure alternative, ma poi questo non avviene perché c’è la paura di investire su chi ha sbagliato in passato.
Dal rapporto emerge che quasi la metà dei detenuti viene dal Sud: è più facile finire in carcere quando c’è povertà economica e culturale?
Ovunque vado, trovo detenuti del Mezzogiorno: fasce deboli che provengono dalle aree periferiche, di solito in carcere proprio per motivi legati a difficoltà economiche e culturali. Questo dimostra che
investire sul lavoro è un antidoto al delinquere.
Molti mi confidano che vorrebbero lavorare, uscire da certi meccanismi, ma hanno problemi di sussistenza che non li aiutano a tagliare i fili con il crimine e li costringono a continuare a vivere di espedienti.
Secondo Antigone peggiorano anche le condizioni di vita all’interno delle carceri…
Ci sono istituti che potrebbero offrire maggiori opportunità, ma tanti altri dove, pur volendo realizzare, ad esempio, aree verdi, non ne hanno la concreta possibilità per motivi di spazio. Quando queste strutture sono nate, a certe questioni non si pensava proprio. Oggi le esigenze sono mutate: servirebbe tanta buona volontà per rendere questi luoghi rispettosi della dignità della persona, dando loro un aspetto più umano.
Nel 2019 si contano già 26 suicidi: come evitare questo dramma?
Sono tanti quelli che per una fragilità psicologica compiono un gesto estremo. Per evitare questi drammi serve l’attenzione all’altro: se uniamo le nostre forze noi cappellani, i volontari e gli stessi operatori all’interno delle carceri, come polizia penitenziaria e educatori, creiamo una catena di solidarietà per sostenere i detenuti più fragili, come quelli che non hanno più rapporti con la famiglia o sono stranieri o vivono in una povertà estrema e si sentono abbandonati all’interno del carcere. A queste persone dobbiamo far sentire la nostra vicinanza, il calore umano.
Ci sono ancora 54 bambini in carcere con le mamme detenute…
Non ci dovrebbero essere. Dopo la tragedia di Rebibbia, quando una madre ha ucciso i suoi due figli, è stato ribadito questo: tutti concordi, dai politici agli operatori del settore, ma poi, passata l’emergenza, il discorso è stato accantonato.
L’auspicio è che, invece, si risolva al più presto la questione e che non ci siano più bambini costretti a vivere in carcere.
Gigliola Alfaro