La “normalità” di una casa famiglia nell’esperienza di Maria, volontaria per amore del Signore

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“Ama il prossimo tuo come te stesso”. Quando un comandamento diventa realtà, vita quotidiana, abnegazione totale e rinuncia…

Ne parliamo con Maria Parisi, della comunità Papa Giovanni XXIII di Randazzo,  madre naturale di tre figli e  “mamma” di tanti altri in casa famiglia.

Gli ospiti della casa famiglia di Randazzo

–  Quando e da cosa nasce questa scelta di vita?

“Non saprei indicare con esattezza un momento in cui si è definita dentro di me la scelta della casa famiglia…

In realtà è stato un percorso di vita, ad un certo punto del quale ho capito di poter rispondere positivamente a quella che sentivo, nella mia esistenza, la chiamata del Signore.

Sono cresciuta in una famiglia religiosa, che viveva nella quotidianità l’impegno verso il prossimo; attraverso diverse esperienze di volontariato, ho avuto modo di avvicinarmi a tante situazioni di povertà, sofferenza,  solitudine.

Non potevo restare indifferente….

Non solo, tutto ciò che riuscivo a realizzare attraverso il volontariato mi lasciava dentro tanta inquietudine: dopo le ore passate assieme, gli anziani dell’ospizio restavano nella loro solitudine; tanti bambini del quartiere popolare rientravano in situazioni di povertà e, a volte, di degrado; la ragazzina in sedia a rotelle passava le giornate ad aspettare che tornassi a trovarla.

Io invece tornavo a casa e ritrovavo la mia famiglia serena, le mie sicurezze, lo studio, le amiche…

Non riuscivo a sentire  la coscienza a posto,  né mi sentivo gratificata o ‘brava’.

Quando ho conosciuto la realtà della casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII ero da poco  laureata in medicina, avevo 23 anni e il proposito di specializzarmi in pediatria per poi andare in missione.

La vita che si svolgeva nelle realtà di accoglienza della Comunità Papa Giovanni dava risposta alla insoddisfazione che mi lasciavano le attività nel volontariato: ho capito che il Signore mi chiedeva un impegno radicale. Non era sufficiente che dedicassi poche ore del mio tempo ai poveri, agli ultimi che mi faceva incontrare: potevo spendermi con loro  nella condivisione diretta della vita quotidiana, 24 ore su 24…

L’ Associazione Comunità  Papa Giovanni XXIII è una associazione laica di fedeli, riconosciuta dalla Santa Sede, fondata negli anni ‘70 a Rimini, da Don Oreste Benzi. E’ presente in tutti i continenti con diverse realtà di condivisione: case famiglia, case di fraternità, case di preghiera, pronta accoglienza, comunità terapeutiche, cooperative sociali. E’ presente laddove c’è povertà ed emarginazione anche attraverso diversi impegni nel sociale.”

– Ogni tanto pesa aver rinunciato ad una vita di famiglia “normale”?

“La nostra è una famiglia normale: la casa famiglia della Associazione Papa Giovanni XXIII è concepita proprio secondo uno stile di famiglia con le due figure genitoriali, eventuali figli naturali e figli accolti. Certamente è una famiglia numerosa, rispetto ai canoni comuni, nonché composita: un po’ come le famiglie dei nostri nonni.

La casa famiglia realizza il desiderio profondo di famiglia che ho sempre nutrito, pertanto  sento di vivere non la rinuncia ad una normale vita familiare, bensì la ricchezza piena della famiglia con le gioie e le fatiche della quotidianità.  Tutto questo comporta un impegno notevole ed è importante ricavarsi degli spazi per se’, per la vita di coppia e, non ultimo per importanza, per la preghiera…”

– Quante ore dura la tua giornata e quali sono i tuoi orari?

“La mia giornata inizia alle 6 del mattino in estate; alle 5,30 con l’inizio della scuola e, solitamente, si conclude intorno alla mezzanotte. Questi sono i miei orari, non necessariamente imposti dalle esigenze della casa: le prime ore del mattino sono il mio spazio personale, fondamentale per stare dopo con tutti. Un buon caffelatte, sorseggiato mentre preparo la colazione per i più piccoli, mi permette di porre in connessione i circuiti cerebrali… quindi un piccolo spazio per la preghiera; poi l’impegno di accudire A., un bambino di 11 anni con grave handicap neurologico. Intanto iniziano ad alzarsi i piccoli ed è ora di dare la sveglia ai grandi: comincia per tutti la giornata!

La giornata trascorre come in tutte le famiglie: c’è chi si reca al lavoro, chi a scuola, chi dà una mano in casa, chi esce per la spesa, per il medico, per innumerevoli faccende.

La lavatrice, il ferro da stiro e i fornelli lavorano ininterrottamente…

Seguire i bambini e i ragazzi per quanto riguarda la scuola, lo sport, le amicizie, le relazioni sentimentali richiede un grosso impegno, disponibilità al dialogo, ecc…”

– Attualmente quanti siete in casa e ogni quanto cambia la composizione della famiglia?

“Attualmente in casa siamo in nove: con gli accolti e i tre figli naturali,  rispettivamente di cinque, sette e nove anni.

Due giovani hanno lasciato la casa famiglia pochi mesi fa, iniziando un percorso di autonomia e, in questo momento, siamo fermi con le nuove accoglienze per motivi legati all’equilibrio interno della casa stessa.

È importante sottolineare la presenza di amici, volontari del servizio civile, scout, e di tanta gente che ogni giorno ci aiuta in un modo o nell’altro”

– A che età vi lasciano i ragazzi che vi affidano? E dopo chi si occupa di loro?

“I ragazzi che ci vengono affidati lasciano la casa se e quando hanno la possibilità di farlo.

Alcuni bambini restano per un breve periodo, facendo quindi ritorno alla famiglia d’origine o passando ad una famiglia adottiva;  diversi giovani riescono a rendersi autonomi. Purtroppo c’è anche chi se ne va troncando i rapporti in maniera brusca…

Quanti non hanno l’opportunità di un rientro in famiglia o di una adozione, nè la possibilità di avere una propria autonomia, resteranno per sempre con noi…

E quando i ‘genitori’ di una casa famiglia per un qualsiasi motivo, ad esempio problemi di salute, età avanzata  o altre difficoltà. non riescono a dare risposta agli accolti allora intervengono altri fratelli della comunità a farsi carico della situazione.”

 Alessandra Distefano

 

 

 

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