Avvento 2019 / Serve l’attesa, perché solo per chi attende arriva qualcosa

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Foto Sir

Noi siamo la nostra attesa. È questo che dobbiamo ricordarci alle porte dell’Avvento. Il vero giudizio sulla nostra vita non lo danno i nostri successi o fallimenti, ma le nostre attese. Perché sono esse a dare linfa alle nostre giornate. Chi non ha attesa non ha voglia neppure di vivere.

Foto Sir

Ma è vero anche che non tutte le attese sono per noi. Ci sono attese troppo piccole, troppo mediocri per reggere la sete di felicità che ci portiamo nel cuore. È come quando qualcuno ha molta sete e si accontenta di passarsi un fazzoletto bagnato sulle labbra. Certe seti hanno bisogno di cisterne d’acqua; hanno bisogno di fiumi interi per poter avere qualche effetto. Ecco perché ciascuna delle nostre vite dovrebbe avere in fondo una grande attesa. L’Avvento serve a questo, a ricordarci quanto siamo assetati e quanto Dio ha preso sul serio la nostra sete di senso. E non è altrove la risposta a questa sete. Non è nell’aldilà. Non è domani. Questa risposta è qui ed ora. È ad un palmo dal nostro naso.
È nella fragilità di un bambino povero, nato esule, figlio di povera gente, riconosciuto da altri poveri e trovato dagli intelligenti venuti dall’oriente, ma tenuto lontano ai potenti, ai superbi e ai violenti. Erode non lo vedrà mai pur regnando su di lui.
Questo bambino non ha mai smesso di stare nella storia, anche nella nostra. Fino alla fine del mondo Dio rimarrà compromesso con ogni angolo oscuro di spazio e di tempo. I cieli hanno nuova dimora. I cieli sono qui. Non servono grandi ragionamenti. Non serve denaro. Non serve strategia o pubblicità. Serve solo di avere gli occhi aperti. Serve quella semplicità di cuore che sa accorgersi delle cose.
Serve l’attesa, perché solo per chi attende arriva qualcosa.
E per noi è più vero ancora perché solo per chi attende arriva Qualcuno. Così la nostra preghiera si fa cortissima, come un respiro che sussurra continuamente Maranathà, Vieni Signore Gesù.
Dall’immagine tesa (di Clemente Rebora)
Dall’immagine tesa
vigilo l’istante
con imminenza di attesa –
e non aspetto nessuno:
nell’ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono –
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto

non aspetto nessuno:
ma deve venire,
verrà, se resisto
a sbocciare non visto,
verrà d’improvviso,
quando meno l’avverto:
verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà, forse già viene
il suo bisbiglio.

 Luigi Epicoco

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