Sinodo sull’Amazzonia / Condividere un’economia compatibile in un’ecologia integrale

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Il recente Sinodo dei Vescovi, riunito a Roma dal 6 al 27 ottobre, ha rinnovato l’importante tema, entro il cui spazio i 184 Padri sinodali hanno poi ampiamente approfondito le linee direttive (“le dimensioni”, come proposte dal Santo Padre) pastorale, culturale, sociale ed ecologica, della realtà attuale dei popoli dell’Amazzonia, i loro problemi e le prospettive del futuro.
Lo speciale interesse quindi che l’incontro dei Pastori della Chiesa ha dedicato a questo particolare e specifico angolo del Mondo (l’area interessata dal corso del Rio delle Amazzoni, le peculiarità, l’imponente bacino idrico che si distende lungo spazi territoriali di ben otto nazioni dell’America meridionale e l’estensione della superficie di circa 7.050.000 Kmq) si è sviluppato ed è stato sospinto anche dalla stringente necessità di corrispondere al soccorso, sollecitato dalle diverse etnie colpite da deforestazione selvaggia in quell’ampia , necessaria e preziosa zona verde del Mondo, quella cioè che Papa Francesco ha con molta efficacia descritto come il “Polmone di foreste vitale per il Pianeta”.
La mobilitazione per l’Amazzonia, specifico luogo di interesse per tutta l’umanità, ha costituito il grande contributo di questo Sinodo. Questo fatto ha reso possibile l’unione di tutti i popoli e continenti in una unica, significativa voce, costituendo un imperativo categorico per lo spegnimento dell’inammissibile incendio, non solo del grande patrimonio ecologico, ma anche del genio degli indios, e dell’equilibrio su cui si regge ogni forma vivente sulla Terra. Dunque, “la casa brucia” vale nel pieno significato letterale, ma anche in quello più propriamente metaforico del termine.
Sotto questo profilo il Papa ha affermato: “Il fuoco appiccato da interessi che distruggono, come quello che recentemente ha devastato l’Amazzonia, non è quello del Vangelo”….Il fuoco della missione riscalda senza divorare poiché “quando senza amore e senza rispetto si divorano popoli e culture non è fuoco di Dio ma del mondo”…Da qui lo scarto incolmabile tra l’evangelizzazione e la colonizzazione.[1] Nel solo Stato del Brasile, infatti, sono stati numerati ben 95.000 incendi accesi nei mesi successivi all’insediamento dell’attuale presidenza, e la distruzione della foresta e delle specie protette del Continente ha probabilmente assunto proporzioni mai prima di oggi raggiunte, se è vero che è passata dall’estensione di Kmq 3.200 del 2018 a ben 6.404 Kmq del 2019.
Il grido di allarme che si è levato dal Sinodo è stato allora pienamente condiviso dall’intera comunità mondiale ed è anche oggi strumento insostituibile di umana solidarietà verso la popolazione Indios dell’Amazzonia, dato che la protezione di una comunità popolata conferisce al messaggio il significato di protezione dell’intera Terra.
Vale la pena ricordare il valore del coraggio che Cico Mendez ha offerto col sacrificio della vita il 23-12-1988, mentre stava organizzando i contadini per resistere ed opporsi ai disboscamenti e difendere in tal modo la bellezza e la sacralità del paesaggio naturale amazzonico.
Il coraggio dei popoli Indios e la tenacia delle lotte contadine si manifestano nel  proteggere la biodiversità, ma anche in quell’ incontaminato serbatoio di idiomi e consuetudini, in quello stile di vita organizzata in isolamento volontario in baracche, in case di lamiera o anche in palafitte, nella libera scelta di trarre dalla coltivazione della terra il frutto per il sostegno economico ed il ricavo dai piccoli commerci e dalla cessione dei prodotti artigianali e dei manufatti. Realtà e tradizioni, dunque, che mantengono i popoli dell’Amazzonia in perfetta armonia con la natura ed il creato.
Quale diabolico disegno si nasconde allora dietro quelle ingenti forze economiche che si propongono di rivoluzionare la vita, i costumi e la natura di quelle località, trasformandone forzatamente le strutture economiche, sociali e paesaggistiche?
Le piccole imprese rurali a basso costo che coltivano banane, mais e farina di manioca, vengono forse costrette a cedere il passo alle coltivazioni intensive, gestite dalle multinazionali; questo vuol dire la cancellazione della foresta fluviale e la realizzazione al suo posto della desertificazione del sistema forestale, con mutazioni radicali del clima, aridità e penuria di piogge. Il taglio degli alberi per ricavare il legno pregiato porta alla trasformazione dei luoghi ed alla formazione, al loro posto, di realtà come la savana. Poi sussiste l’attività predatoria delle industrie minerarie pronte alla ricerca di oro e petrolio, l’industria estrattiva rapace almeno nella stessa misura in cui lo è la pesca disordinata e disorganizzata, dannosa per l’ecosistema, almeno quanto l’attività mineraria.
Occorre mutare il modo di pensare e passare dall’occupazione illegale del territorio, con sfruttamento di monoculture a base industriale, in definitiva il neo-colonialismo avido, ad una agricoltura sostenibile, che lega le persone e le famiglie ai luoghi ed agli ambienti, senza costringerli ad emigrare. Questa riflessione esige la restituzione della foresta smarrita dall’Amazzonia ed il divieto della urbanizzazione selvaggia ed ad ogni costo.
Le persone vivono in isolamento per il timore di contrarre malattie a causa di contatti con l’esterno. Vivono ormai in comunità che costituiscono convivenze di diverse famiglie tra loro, ed in verità sono i missionari a costituire probabilmente l’unico contatto col mondo circostante. Timore di perdere le loro etnie? La forte denuncia del Sinodo, con l’appello alla coscienza dei molti, tiene presente due diversi drammi: quello delle giovani generazioni, in contrapposizione con i più anziani, che vengono spesso attratti da gruppi senza scrupoli, con inganni vari, e finiscono per cadere nelle tentazioni della droga e del suicidio da un lato, ed il problematico inserimento in ambienti diversi degli Indios stessi, costretti a lasciare le terre trasformate in cenere dalle fiamme degli incendi. Deve essere salvaguardato quindi il diritto alle tradizioni, alla tutela, ai costumi; tradizioni quali appunto l’artigianato ed i prodotti manuali, ma anche e soprattutto i riti religiosi cattolici.
Dunque il cristianesimo e le tradizioni convivono perfettamente: l’ecologia integrale difende l’ambiente naturale, le tradizioni e tutti gli altri grandi valori della vita. Non bisogna cadere nel pregiudizio o nel luogo comune secondo cui gli Indios costituiscono un intralcio allo sviluppo, perché l’unico sviluppo per l’Amazzonia non può trascurare l’evangelizzazione e gli insegnamenti del Vangelo.
Il Vangelo resta dunque sempre la base per risolvere i problemi culturali, sociali, umani ed economici dell’Amazzonia: la spoliazione e la volontà di depredare sono di per sé progetti di morte, anche a prescindere dal fuoco e dalla cenere. La conversione dei cuori è essenziale per la realizzazione di una ecologia responsabile ed idealmente siamo tutti Indios dell’ America meridionale: la conversione è l’unico ponte che permette di ricredere, di ripensare, di rivedere se lo sviluppo scelto sia o meno giusto, sia cioè in linea con le aspettative di tutti gli altri diversi aspetti non analizzati dall’unico che decide per tutti. Il problema reale è guardare al bene comune, non solo all’utilità di un singolo imprenditore, o anche di un singolo gruppo sociale.
Ripensare o rivedere vuol significare mettersi al servizio del povero, ascoltare la sua invocazione, cogliere le sue problematiche, camminare insieme e rimanere in ascolto.
S. Paolo annunciò il Vangelo a tutte le genti, aprì nuovi orizzonti al Vangelo: non avrebbe potuto realizzare quell’ideale, se non si fosse messo in ascolto delle ragioni di tutti gli altri e se non avesse ammaestrato tutte le genti con l’umiltà e la persuasione. Non uno spirito di conquista, ma di servizio: conta solo la determinazione di saper guardare al bene comune. Il ripudio di un modello, ostaggio dell’avidità di potere e del denaro, ed in cambio il rispetto della dignità e degli interessi della persona umana sono il presupposto che esclude di prendere in esame, ai fini della tutela ambientale, solo gli interessi della grande finanza.
L’economia compatibile presuppone invece il rispetto di tutte le identità culturali e la conversione, pastorale e culturale, proclamata dal Sinodo. Da tutto il ragionamento sopra descritto, emergono chiaramente due punti insormontabili:

  1. Il Sinodo ha tracciato la vera via di conversione pastorale e culturale ed ha riportato al centro della Chiesa cattolica la missione a sostegno delle persone dimenticate e distaccate dalla Chiesa;
  2. Il Sinodo ha riaffermato l’armonia e la bellezza della natura richiamando l’attenzione delle persone comuni sulla difesa e valorizzazione di requisiti presenti in tutta l’opera di Dio, con tutto il significato ed il valore della creazione.
    Jacques Yves Cousteau, che fu un eminente ricercatore ed oceanografo francese, studioso del mare e di tutte le forme di vita acquatiche, mise in luce nelle sue opere letterarie il suo amore e il rispetto per la natura, per le risorse ambientali e paesaggistiche e soprattutto mise in evidenza il diritto di tutti di goderne le meraviglie, ma allo stesso tempo il dovere di tutelare e preservare le caratteristiche naturali, affinché ne possano godere tutti quelli che verranno nel futuro. Il Pianeta Terra come astronave, che deve essere autosufficiente, con tutte le sue risorse, senza sprecare o distruggere nulla. Dalle attenzioni che Cousteau ha riservato alla salute della Terra, si è sviluppata la corrente di pensiero, esaminata nelle conferenze internazionali sull’ambiente, da Rio a Johannesburg, che ha posto la Terra come centro di interesse, bisognoso di essere preso in cura, con la disciplina denominata patologia ambientale.

La Terra quindi, simile ad un corpo fisico, munito della componente spirituale, bisognoso di cure spirituali e materiali. L’ecosistema, ovvero la Casa Comune, il Pianeta opera della manifestazione di Dio, come tutta la creazione, richiede attenzione e cura: senza alcun riferimento per la concezione o dottrina filosofica che descrive appunto nell’ilozoismo panteistico la presenza effettiva di Dio nella natura stessa, è fuor di dubbio che l’armonia e la bellezza del creato si propongono come immagine stessa dell’opera di Dio.
La distruzione delle bellezze naturali è quindi grave offesa a Dio anche sotto il profilo della vita di relazione, cioè del rapporto che lega gli uomini tra loro, in quanto devono vivere come fratelli. Intervenire in modo arbitrario e con spirito predatorio in determinate zone del Globo, provocando modifiche al clima ed alla vita di relazione degli stessi abitanti, costituisce certamente un peccato contro Dio e la natura, sic et sempliciter ma è un atto che produce un grave vulnus alla vita in tutte le componenti morali, sociali, politiche e psicologiche dell’uomo. Un atto che produce ripercussioni sul clima di diverse zone del Globo ed influisce in definitiva sul sistema di vita del Pianeta, non provoca quindi un danno limitato soltanto all’area dell’Amazzonia, fatto già di per sé stesso di enorme gravità.
Allora ecco il tema introduttivo del Sinodo sull’Amazzonia che si è snodato lungo l’importante sentiero già tracciato dalla grande Enciclica di Papa Francesco, “Laudato si’” ed ha sottolineato che “il Creato sostiene l’umanità generata in senso globale, compresa la vita, la famiglia, il lavoro, lo sviluppo e la povertà, la sua cura perciò ha a che fare con la tutela della vita dell’uomo, questa è la visione cristiana dell’ecologia.
Non si può difendere l’ambiente naturale senza difendere contemporaneamente quello umano”.[2] Dovrà dunque essere l’ecologia integrale a restituire al Pianeta in cui viviamo l’armonia e la giusta dimensione naturale dei luoghi, già oggetto di interventi di degrado. Questa è al momento la particolare condizione di quell’importante territorio dei popoli Indios, ferito da trasformazioni che hanno mutato l’arredo naturale e paesaggistico: popoli e gruppi etnici – che prima potevano fare affidamento sulle risorse procurate in condizioni normali dall’ecosistema, come l’agricoltura, la pesca ed il patrimonio forestale ma costretti ad emigrare od addirittura a fuggire per salvare la vita, spesso lasciati in abbandono e nel generale disinteresse.
Il dramma è costituito dal nuovo inserimento in realtà diverse della società civile, non sempre disponibili a prestare tutto l’aiuto e l’accoglienza necessari e la umana considerazione, dovuta a chi è in genere costretto ad abbandonare le località sottoposte a rischio. La condizione attuale dei diversi gruppi etnici dell’Amazzonia riporta a quella descritta nell’Enciclica di Papa Francesco sull’ambiente del 2015: in essa è posta la riflessione sulla carenza dello spirito di servizio che deve sorreggere ed animare la risposta dell’uomo di oggi alle sfide del mutamento climatico.
Il riscaldamento globale – connesso anche al danno portato dalla deforestazione senza criterio, come avvenuto per esempio proprio nella regione amazzonica – la concentrazione dei gas serra e l’uso intensivo dei combustibili fossili, tutte queste tre azioni insieme producono il mutamento climatico oggi in atto davvero senza precedenti nella storia dell’uomo sulla Terra. Tali trasformazioni possono provocare gravi sconvolgimenti, non solo con inondazioni e siccità, ma anche e soprattutto con altri fenomeni, di cui forse i primi segni evidenti si manifestano nelle sempre più ampie estensioni di aree prive di ghiaccio ai Poli come pure sulle grandi catene montane.
L’Enciclica allora propone, offre, richiede all’uomo contemporaneo un drastico mutamento del modo di pensare, degli usi e dei costumi, per quanto possano ritenersi acquisiti ed ormai consolidati, durante uno sviluppo pure abbracciato, ma che si è rivelato però alla resa dei fatti, inadeguato, asservito ad un capitalismo, privo del volto umano e solidale, e pertanto egoista. Il mutamento che si richiede nella mente e nello spirito dell’uomo – di ciascuna persona vivente in un dato momento sul Pianeta – è dunque messo in relazione con la crisi ambientale certamente, ma anche con la crisi socio – economica, e l’Enciclica papale riveste quella decisiva insostituibile importanza nell’aver colto subito la necessità che si debba provvedere “con quadri regolatori globali che impongano obblighi e che impediscano azioni inaccettabili, come il fatto che Paesi potenti scarichino su altri Paesi rifiuti ed industrie altamente inquinanti”.
L’Enciclica papale e lo stesso Sinodo hanno posto in discussione, creando freni spirituali ed argini morali le “azioni inaccettabili” che, su scala mondiale, hanno dato avvio alla manipolazione incontrollata del Pianeta, di cui appunto le devastazioni forestali nell’Amazzonia non sono che un evidente esempio. Peraltro, l’Enciclica richiama anche, riassume e sviluppa la dottrina sociale della Chiesa, già più volte in precedenza osservata ed analizzata dai predecessori di Papa Francesco.
Già il Santo e venerato Papa Giovanni XXIII, nella Mater et Magistra, e la Costituzione Apostolica Gaudium et Spes, avevano fatto riferimento ad un apparato produttivo che genera diseguaglianze e sperequazioni nella distribuzione della ricchezza, entro uno stesso Paese e tra le varie Nazioni, ed il fenomeno nella “Mater et Magistra” era stato testualmente definito “un ordine economico radicalmente sconvolto”.
Papa Montini nell’importante Populorum Progressio del 1967 si riportava invece ad un ripensamento dell’etica individualistica da superare a favore della dottrina della solidarietà, mentre, con riferimento ai beni terreni, il Papa, oggi Santo, sottolineava la funzione dell’uomo “usufruttuario dei beni terreni da utilizzare con grande senso di responsabilità, nel quadro di un ordine umano dei rapporti sociali”.
Nell’importante Enciclica, il Santo Padre auspicava – forse per la prima volta nel linguaggio morale della S. Sede – che i poteri politici mondiali si dedicassero con uno sguardo d’insieme ai problemi dell’umanità e ne prendessero in carico gli aspetti “economici, sociali, culturali e spirituali per una visione globale dell’uomo…affinché lo sviluppo dell’uomo fosse conforme alla solidarietà universale”.
In altra parte del fondamentale documento pontificio, il Papa fece riferimento ai doveri di far fronte allo sviluppo con metodo “equo e solidale”, condannando senza appello l’accaparramento e lo sfruttamento dei beni della Terra. Mancava ancora al tempo, nella questione sociale, l’ultimo sviluppo complessivo planetario che la S. Sede ha oggi approfondito nell’ultima Enciclica. E’ fuor di dubbio che già con Papa Giovanni Paolo II e poi successivamente col Papa emerito Benedetto XVI, la questione ambientale sia divenuta per la Chiesa quell’ampia missione che fa proclamare a Karol Wojtyla l’esortazione affinché i popoli si dedichino alla considerazione della sapienza e contemplazione del mistero della creazione, al posto della dittatura dell’uomo col potere sulla natura, come risorsa da sfruttare in nome del profitto. La visione francescana è l’organizzazione di una casa dell’uomo “che rispetta ed ama le creature in cui vive”. In particolare, il Papa polacco al convegno dell’Università Cattolica del Sacro Cuore su “Ambiente e Salute” del 1997, indirizzò un vivo appello perché “l’equilibrio dell’ecosistema e la difesa della salubrità dell’ambiente hanno bisogno proprio della responsabilità dell’uomo e di una responsabilità che deve essere aperta alle nuove forme di solidarietà”. Benedetto XVI pose l’argomento dello sviluppo umano integrale in un ampio intervento prodotto nell’udienza generale del 26 agosto 2009, in cui appunto fece riferimento “all’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà, non solo nei rapporti tra i Paesi ma anche tra i singoli uomini, poiché l’ambiente naturale è dato da Dio per tutti ed il suo uso comporta una nostra personale responsabilità verso l’intera umanità.
Con Giovanni Paolo II, ma molto più con Benedetto XVI, si sviluppa dunque l’ampio ragionamento di valutare entrambe le ecologie, umana ed ambientale, in una unica dimensione, entro la quale entrambe devono costituire la base di un nuovo rapporto dell’uomo con Dio e con i suoi simili, sulla Terra. Da queste considerazioni sono scaturiti gli ultimi convincimenti ecclesiastici di una nuova economia compatibile nell’ ecologia integrale, fulcro dell’Enciclica di Papa Francesco, documento importante che ha riassunto e sviluppato tutte le precedenti elaborazioni dottrinarie della Chiesa, riprese da ultimo, nel Sinodo del mese di ottobre di questo stesso anno.
Questo Sinodo che ha quindi impegnato tre settimane di lavori, in incontri ed approfondimenti ed anche con l’ascolto della viva voce dei popoli indios feriti dell’Amazzonia, è stato di fatto uno sguardo missionario, molto approfondito sui problemi della terra e della cultura di quelle zone del Mondo, ed allo stesso tempo un percorso di fede, proposto col fine di medicare le profonde ferite di quei luoghi del Pianeta, ferite prodotte all’ambiente, ma anche allo spirito ed alla cultura.
Attraverso questo Sinodo e con la preghiera che il Papa ha affidato alla Vergine Maria, affinché soccorra nei bisogni materiali e morali il popolo dell’Amazzonia, confidiamo, come sempre, che la realizzazione [1] del disegno di Dio per un Mondo migliore, più equo e più giusto, sia affidata agli uomini di buona volontà.

                                                                                          Sebastiano Catalano

1- Avvenire, 8/10/2019.