“Un’immagine vale più di mille parole” – questa frase l’abbiamo sicuramente pronunciata, letta o scritta milioni di volte, suggerita ormai anche dai social e corredata dalle immagini più disparate utilizzate in altrettanti molteplici contesti. C’è chi l’attribuisce a Confucio, chi a Mao Tse Tung e chi ad un editore americano, Arthur Brisbane, che la pronunciò, nel marzo del 1911, in occasione di un banchetto in cui si discuteva di giornalismo e pubblicità. Poco importa, ciò che conta è che la frase racchiude una verità, di sicura efficacia: le immagini hanno il potere di trasportarci immediatamente lì, in quello stesso luogo, in quella medesima circostanza e riescono a catturare le nostre immediate sensazioni, legandoci indissolubilmente ad esse; inoltre, a differenza delle parole, le immagini parlano un linguaggio universale e non necessitano di alcun traduttore.
In un contesto storico mondiale drammatico come quello che stiamo attualmente vivendo, a seguito della pandemia causata dal virus Covid-19, le parole sembrano non essere più sufficienti e incontrano spesso la diffidenza, la superficialità o, quel che è peggio, l’ignoranza di quelle coscienze che non si lasciano scalfire dai richiami alla responsabilità individuale e sociale, dalle prescrizioni e dagli appelli accorati a seguire i comportamenti inderogabili richiesti per arginare, si spera, gli effetti devastanti del contagio. Allora, volendo sperare che alcune immagini, che stanno diventando i simboli di questa emergenza epidemiologica, riescano a riscuotere il massimo effetto comunicativo grazie alla loro immediata comprensibilità e al loro forte potere di richiamo, abbiamo sondato un po’ in giro e raccolto le impressioni che queste immagini hanno riscosso.
Sicuramente è riuscita a distoglierci dal nostro tran tran quotidiano, che oggi siamo stati costretti a sospendere con grande sofferenza, e ci ha costretti a riflettere su quanto stava realmente accadendo non troppo lontano da noi, la foto pubblicata, qualche giorno fa, dal Nurse Times, giornale specializzato in informazione sanitaria, e che in pochissimo tempo ha fatto il giro del web. Lo scatto di un medico dell’ospedale di Cremona, uno dei più colpiti dall’emergenza Coronavirus, che ha catturato tutto lo sfinimento a cui sono sottoposti coloro che in questo momento stanno affrontando l’emergenza in prima linea: è un’infermiera accasciata, su un cuscino improvvisato, ancora vestita di indumenti anti-contagio, quella ritratta nella foto, che cerca riposo, alla fine di un turno di lavoro evidentemente estenuante o che, forse, è destinato a continuare ad oltranza. Questa foto ci ha scossi e ci ha commossi; ci ha ricordato una grande forza di volontà, un grande spirito di sacrificio e di umanità ma, soprattutto, la vocazione che ha spinto tanti uomini e tante donne ad intraprendere la professione medica ed infermieristica perché credevano di poter cambiare il mondo e le sue brutture, e nel loro piccolo, ci mettono davvero tanto impegno e tanta passione. Oggi ne stanno dando la più alta dimostrazione: un esercito determinato, stanco forse, ma che non molla perché sta combattendo, e lo farà fino allo stremo delle forze, per la famiglia italiana tutta! Eroi di cui in futuro non si ricorderanno i nomi né i volti né verranno citati nei libri di storia ma loro, la storia, la stanno facendo e, vogliamo credere con tutta la fede possibile, ci permetteranno di raccontarla.
E c’è poi un’altra immagine, non una foto ma l’opera realizzata dall’illustratore Franco Rivolli, che l’Associazione Nazionale Carabinieri di Chiaravalle Centrale ha postato su facebook quale omaggio al personale sanitario impegnato da settimane in prima linea in questa guerra al nemico invisibile e che, in poco tempo, è stata condivisa da migliaia di persone. Un’immagine semplice ma molto significativa: una dottoressa con la mascherina che tiene in braccio, avvolta in un tricolore, un’Italia ferita; dietro le spalle, la dottoressa ha le ali di un angelo. Un’immagine che ci parla immediatamente di fragilità: un paese che, come tanti, si sentiva forte, sicuro del fatto suo, ma che in poche settimane ha visto sbriciolarsi ogni certezza. Un paese che è diventato indifeso e insicuro come un neonato che, mai come in questo momento, ha bisogno di sentirsi protetto, di essere accudito, curato e rincuorato e poi guidato verso una speranza di ricrescita.
Ma queste necessità hanno avuto la forza di unire gli italiani; quest’ultima è anche un’immagine che ci parla di unità, quella che sarebbe auspicabile sempre e non solo nei momenti di sconforto; l’unità d’impegno e di comportamento che può impedire il diffondersi del contagio, l’unità che può risvegliare quel sentimento materno di un Paese che troppo spesso non è stato equo con i suoi figli e non si è speso abbastanza per garantire loro un futuro solido e sicuro.
Qualcuno, inoltre, ha saputo cogliere anche dell’altro, che poco sembra avere a che fare con l’emergenza ma molto con alcune caratteristiche italiane doc: l’immagine, infatti, in qualche modo ci parla di sensibilità ed eleganza, peculiarità di un’Italia che vanta una tradizione artistica, che ha avuto notevole continuità nel corso dei secoli, e che insieme alla sensibilità culturale, sostenuta dalla plurisecolare eccellenza artigianale, l’hanno resa capace di creare un linguaggio globale, di grande livello, che ha influenzato il mondo intero.
Dunque un’Italia ricca di risorse, che sa essere audace e che perciò vuole credere in un “dopo” emergenza di speranza e di rinascita. Così come ci suggerisce un’ultima immagine, forse meno conosciuta qui in Italia, ma anch’essa simbolo di una battaglia combattuta con fermezza e determinazione lì dove è iniziato l’incubo mondiale e cioè a Wuhan, in Cina.
Ed ecco la foto che ritrae un medico che sta trasportando un paziente anziano, sul suo letto d’ospedale, in una parte più lontana della struttura ospedaliera; durante il tragitto si ferma per permettere al paziente di ammirare il tramonto, spettacolare dono della natura, come a voler ricordare che la paura e la morte vanno esorcizzate con la vita. Benché la situazione sia stata, e lo è ancora, grave e disperata per molti, non sembra fuori luogo fermarsi ad apprezzare la bellezza anche delle piccole e delle semplici cose che nessuno può avere la certezza assoluta di poter rivedere anche il giorno dopo. Non sappiamo cosa ci riserva il domani e oggi, purtroppo, ci sentiamo padroni indiscussi del nostro tempo e convinti di essere immortali tanto da non ritenere necessario spendere il minimo impegno per il beneficio del nostro e dell’altrui futuro.
Se tutti coloro che stanno sottovalutando il problema Coronavirus e non ritengono necessario sacrificare un po’ della loro libertà per rispettare le prescrizioni imposte riflettessero sull’eventualità, fra qualche giorno, di non poter più vedere, e di impedire anche ad altri la possibilità di farlo, né un’alba né un tramonto né il viso dei loro cari, forse, ma continuiamo a dire “forse”, smetterebbero di uscire di casa offrendosi come strumento di contagio e, per i soggetti più deboli, come strumenti di morte.
Cristiana Zingarino