L’itinerario in Terra Santa prosegue con la salita, per mezzo di taxi, al Monte Tabor, alto 558 m. s.l.m. nella Bassa Galilea. Il caldo di quella giornata non ha scoraggiato i pellegrini che spiritualmente si preparavano a vivere un momento intenso ovvero il mistero della Trasfigurazione di Gesù con il preannuncio della sua Passione.
Gesù, in presenza di Pietro, Giacomo e Giovanni durante la sua preghiera al Padre …” fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui ...” (Mt 17,1-8). Il Maestro si appresta all’esodo ovvero ad affrontare la durissima prova dell’obbedienza fino alla morte.
I Francescani tra il 1919 e fino al 1924 sulla vetta del Monte Tabor costruirono, tramite il progetto dell’architetto Antonio Barluzzi, la chiesa della Trasfigurazione, a tre navate, sulle rovine di una chiesa bizantina del quinto secolo e di una chiesa dei Crociati del XII secolo.
La capppella a nord è dedicata a Mosè e quella a sud ad Elia, mentre mentre sulla parte superiore, sopra l’altare, c’è il mosaico che raffigura la Trasfigurazione. La bellezza dell’edificio e delle opere in esso custodite aiutano il pellegrino ad immergersi in una meditazione sul suo destino ultimo e lo preparano al momento cruciale del viaggio: Gerusalemme, che si presenta ai nostri occhi di sera e di giorno con tutta la sua storia dal Monte degli Ulivi.
Ci si si accinge a visitare il Cenacolo, il luogo dell’Ultima Cena e il centro dei Misteri dell’Eucaristia, del Sacerdozio e della lavanda dei piedi. Oggi l’ambiente è spoglio (c’è solo qualche piccolo segnale della presenza cristiana) e non vi si può celebrare il culto cristiano perchè trovasi al piano di sopra rispetto a un luogo di celebrazione ebraica. E pensare che in questa sala comparve per la prima volta Gesù risorto la sera di Pasqua!
L’emozione è comunque fortissima e siamo invitati a meditare sul sacrificio che Gesù si appresta a compiere pur nella sofferenza della carne, ma nell’obbedienza al Padre. Nei pressi del Cenacolo si ricorda anche Maria grazie alla basilica costruita dai Benedettini tedeschi di Beuron nel luogo dove, secondo la tradizione, soggiornò la Madre di Gesù quando si spostò a Gerusalemme ed ivi morì ( per questo motivo denominata Basilica della “Dormizione”).
Una scalinata di pietra di epoca romana ci ricorda il percorso di Gesù dal Cenacolo verso la valle del Cedron e poi al Getsemani. Ai piedi del Monte degli Ulivi vi erano quelle che lo storico Eusebio di Cesarea chiama le tre “sacre spelonche” dove Gesù si fermava a pregare e iniziò i suoi discepoli ai sacri misteri, tra queste c’è quella nella quale Gesù insegnò la preghiera del Padre Nostro, ora raccolta dentro il convento delle Carmelitane nel cui chiostro è riprodotto su maioliche il Padre nostro in quaranta lingue.
Scendendo, si incontra il santuario del “Dominus flevit”, che ricorda il pianto di Gesù sulla città che non aveva accolto e riconosciuto il Messia. La strada prosegue attraverso i cimiteri ebraici fino a giungere al Getsemani, ai piedi del Monte degli Ulivi.. Era un giardino (“orto degli ulivi”) con una grotta naturale (forse di un amico di Gesù) contenente attrezzi di lavoro e il “pressorio per l’olio”, dove il Maestro riposava durante la notte. E’ questo il luogo nel quale l’umanità di Gesù è attraversata da tanta tristezza nell’imminenza del sacrificio della sua vita e dove eroicamente si affida alla volontà di Dio. Ed è anche il luogo dell’arresto.
A fianco, nel 1920 è stata costruita la Basilica dell’Agonia, che davanti all’altare conserva una pietra, sin dal III secolo venerata come luogo della prostrazione di Gesù in agonia. Quale luogo migliore per meditare in silenzio! Davvero è questo un momento di alta concentrazione e di preghiera. La Messa – sottolinea don Romeo Maggioni, guida dei pellegrinaggi in Terra Santa – è “proprio l’attualizzazione, qui e ora, di quel Sì di Gesù al Getsemani, per comunicarci, per contagiarci quella sua energia e capacità di dire Sì a Dio nei momenti delle nostre prove drammatiche”.
Giovanni Vecchio