Coronavirus e dintorni / Gli Stati faranno più debiti per sostenere famiglie e imprese

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Foto Ansa / Sir

La salute prima dell’economia. La salvaguardia del lavoro prima del contenimento del debito. Il dramma del coronavirus globale rimette in ordine alcuni valori e l’emergenza sblocca posizioni cristallizzate da anni. Il primo passaggio ormai è chiaro: l’economia deve accettare di girare al minimo pur di non far girare al massimo la diffusione pandemica del virus. Non è una scelta indolore perché una circolazione debolissima di merci e servizi interrompe anche i progetti di miglioramento individuali o collettivi. Si potrebbe dire, ferma la ristrutturazione di singoli appartamenti e dell’intero stabile.
Il secondo passaggio logico, emerso in queste ore, è che fare nuovo debito è indispensabile per proteggere il lavoro.

Foto Ansa / Sir

Dove per lavoro si intende quello dipendente, precario, autonomo, commerciale e l’impresa. Sono le attività esistenti e da salvaguardare a ogni costo mentre restano nella nebbia attività occasionali, a chiamata, di economia sommersa con circolazione di denaro meno censibile.
Fare più debito, in quantità ancora indefinibile ma comunque impensabile due mesi fa, non è come avere denaro in regalo. I debiti, pur a bassi tassi di interesse, hanno una scadenza e devono avere alle spalle una capacità di ripagarli a distanza di anni. Così è per un mutuo alle famiglie, per un finanziamento alle imprese o per un prestito a uno Stato. Anche uno Stato, un’amministrazione regionale o comunale fa dei debiti: non è sempre chiaro che sottoscrivendo un Btp (Buoni del Tesoro Poliennali) noi prestiamo soldi al nostro Stato che si impegna a restituirci il capitale a scadenza e a pagare interessi semestrali o annuali. Il debito pubblico italiano è notoriamente alto e ammontava a 2.443 miliardi al 31 gennaio 2020. Prepariamoci a vederlo schizzare verso l’alto così come vedremo aumentare il debito pubblico in tanti altri Paesi ritenuti virtuosi. Anche le “formiche” che vivono soprattutto nei Paesi del Nord Europa subiscono la gelata dell’economia, forse per ora un po’ meno dei Paesi “cicala” come vengono definiti quelli della fascia mediterranea.
E se la casa brucia, con le persone intrappolate, ogni acquisto d’emergenza è giustificato.
Il dibattito è a chi deve essere attribuito (perché venga ripagato negli anni) il nuovo debito che si andrà a formare: ai singoli Paesi? All’Europa della moneta unica? Ad organismi sovranazionali? E chi vigilerà che i nuovi prestiti vengano poi ripagati grazie a politiche di bilancio virtuose una volta che la crisi sarà superata. “Siamo come in guerra – ha sintetizzato l’ex Presidente della Bce (Banca Centrale Europea) Mario Draghi – e dobbiamo mobilitarci di conseguenza”. Il ruolo dello Stato è “proteggere i cittadini e l’economia da shock per i quali il settore privato non ha colpe”. Dobbiamo mettere in conto “un significativo aumento del debito pubblico” e Draghi chiede che si agisca subito con emissioni di nuovi titoli pubblici, nuovi interventi delle banche centrali e sostegni al reddito privato. Per evitare “che la recessione si trasformi in una prolungata depressione, resa peggiore da una pletora di default (insolvenze) che lasciano danni irreversibili”. Si chiamino PandemicBond o CoronaBond, siano garantite da un singolo Paese o dall’intera Europa, le nuovo obbligazioni vanno sottoscritte presto. I soldi servono subito per sostenere la cassa integrazione di massa, i finanziamenti alle imprese e alle famiglie. Di questo si sta discutendo in queste ore di emergenza.

Paolo Zucca

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