La Diocesi di Acireale accoglie con piacere l’iniziativa “Non vedo l’ora”, intrapresa dalla Voce dell’Jonio di condividere (e poi rendere un volume), attraverso la forza poetica di pensieri e parole, ansie e speranze, sogni e desideri di ogni persona che voglia esprimere il proprio sentire e la propria voglia di vivere in questo tempo di Coronavirus. Un tempo surreale, che ci costringe quasi a negare la nostra stessa essenza umana, quella caratterizzata dalla “necessità di relazione”, contrapposta proprio, in questa crisi da Covid19, alla “necessità di evitare rapporti sociali”.
Ciò che mai è possibile negare, però, ricordava un filosofo, è la forza del pensiero: quella capacità di pensare, pianificare, supporre, immaginare, ipotizzare e poi rimettere in discussione, che è propria di ogni essere umano. Unica nel suo genere, unica nel panorama naturale della storia planetaria, unica nel tempo e nello spazio concesso a ogni originale figura umana. Se vogliamo, l’iniziativa “Non vedo l’ora”, per la quale basta inviare a segreteria@vdj.it il proprio contributo, ci consente di esprimere quella nostra unicità in termini di poesia: parole che, come la lettura, possono in questo tempo liberarci dalla “reclusione della quarantena”, purtroppo ancora assolutamente necessaria per contrastare il diffondersi dei contagi, nonostante siano chiari i primi segnali di efficacia delle disposizioni di queste settimane.
E se è vero che riunioni, incontri, colloqui e iniziative sono stati inevitabilmente azzoppati, come la possibilità di tante occasioni di aggregazione culturale, è anche vero che questa quarantena ci pone di fronte alla possibilità di ricalibrare la nostra relazione personale con il tempo: come lo trascorriamo? Con chi? Per fare cosa? Con quale prospettiva? In questo, s’innesta la chiamata coscienziosa al discernimento personale, alla formazione, alla riconsiderazione di tante abitudini e prassi basate forse più sulle “vite degli altri” che sulle “vite per gli altri”.
Di conseguenza, forse, potremo ricalibrare anche la nostra esistenza rispetto ai legami familiari, amicali, ma anche e sopratutto sulla nostra presenza su un pianeta, la “casa comune”, nella quale siamo ospiti privilegiati, ma non padroni. In altri termini, siamo costretti a ricordarci e toccare dolorosamente con mano che essere custodi è ben diverso dall’essere sfruttatori; che essere vivi non vuol dire essere autorizzati a fare qualsiasi cosa in nome di una libertà presunta che spesso intendiamo come sregolatezza, più che come opportunità fatta di responsabilità. E forse, esprimerlo in parole poetiche, non vedendo l’ora di riabbracciarci, ci restituirà parte di quell’unicità perduta.
Mario Agostino
Direttore dell’Ufficio per la pastorale della cultura della Diocesi di Acireale