Unione Europea / Nasce “il patto per l’euro”

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Contro la crisi di questi ultimi mesi, l’Unione Europea ha pensato ad un nuovo “patto per l’euro”. Nemmeno la crisi economica e finanziaria in cui è precipitata l’Europa tre anni or sono è bastata a indurre i Paesi di Eurolandia sulla via dell’assoluto rigore, della competitività, della governance condivisa. O meglio, i governi dei 17 Stati che adottano la moneta unica avvertono la necessità di irrobustire le proprie economie in un quadro di maggiore cooperazione europea, ma quando si giunge al momento di assumere responsabilità esplicite e dirette, allora subentrano altri, e pur plausibili, ragionamenti.

Unione Europea / Nasce il patto per l’euro: il piano

Quale premier vorrebbe imporre ai suoi cittadini (elettori) la moderazione salariale o l’aumento significativo dell’età pensionabile? O ancora, un taglio reale alla spesa pubblica, l’introduzione di una ulteriore “flessibilità” del mondo del lavoro (dietro la quale i cittadini intravvedono la precarietà)? Su questo filo si è giocato il vertice della zona euro, tenutosi l’11 marzo a Bruxelles. Una Ue già impegnata a rintuzzare la “coda” sociale e occupazionale della crisi, obbligata a valutare risposte urgenti agli avvenimenti del nord Africa, giustamente preoccupata per quanto accade in Giappone, fatica a ragionare in una virtuosa prospettiva economica di medio e lungo termine.

Così i Paesi della moneta unica hanno definito il nuovo “Patto per l’euro”. E’ aperto all’adesione volontaria degli altri Stati comunitari, che dovrà essere varato ufficialmente dal Consiglio europeo del 24-25 marzo. Patto che appare la copia sbiadita del più pretenzioso “Patto per la competitività” caldeggiato dalla cancelliera tedesca Merkel. Lo appoggiò anche il presidente francese Sarkozy. Il patto si pone quattro obiettivi: stimolare la competitività; rilanciare l’occupazione; concorrere alla sostenibilità delle finanze pubbliche; rafforzare la stabilità finanziaria.

I possibili sviluppi

Di fatto i partner s’impegnano a tenere sotto controllo i conti statali, ad attuare forme di governance condivisa, a favorire gli investimenti, a completare il mercato unico. I Paesi finanziariamente a rischio (come accade in questa fase a Grecia, Irlanda, Portogallo) non saranno lasciati soli grazie al salvagente del FESF (Fondo europeo di stabilità finanziaria): entro il 2013 il meccanismo di sostegno già in vigore passerà da temporaneo a permanente, con una “dote” da 550 miliardi di euro. Alle capitali che mostrano un debito eccessivo (ad esempio Italia e Belgio), sarà richiesto un rientro progressivo. Verrà chiesto con criteri di valutazione nuovi, così come aveva chiesto Roma.

Si tratta dei “fattori rilevanti”, quali la bilancia delle partite correnti, l’indebitamento delle famiglie, l’esposizione delle banche, l’andamento della spesa previdenziale. Sono inoltre previste misure di sostegno fiscale per le regioni più arretrate. I punti deboli del Patto appaiono però la mancanza di vincoli precisi e di sanzioni per chi non dovesse rispettare le regole del gioco. Un altro elemento che potrebbe inficiare i risultati dipende dal fatto che il “controllo politico sull’attuazione degli impegni e sui progressi verso la realizzazione degli obiettivi comuni competerà ai capi di Stato o di governo”. Così si legge dal patto stesso. Questo, anziché a un organismo “comunitario” di controllo, ossia la Commissione Ue.

Gianni Borsa

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