Intervento del card. Scola su neutralità e libertà religiosa

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Vasta eco ha avuto sui giornali il discorso pronunciato dal card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, alla vigilia di sant’Ambrogio. Alcuni organi d’informazione lo hanno presentato come un attacco alla laicità dello Stato. In realtà, le cose stanno in modo ben diverso.

Il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano

Egli ha parlato, fondamentalmente di libertà religiosa, oggi gravemente minacciata. Basti pensare che nel primo decennio del duemila sono stati oltre 120 i Paesi nel mondo in cui si sono verificati fenomeni di aperta e ingiustificata persecuzione religiosa.

Accanto a questi gravi fatti c’è da registrare in Occidente un fenomeno non meno preoccupante, che portato agli estremi sviluppi, conduce a un sottile, ma reale fenomeno persecutorio; occorre prenderne coscienza. Il card. Scola registra che l’evoluzione degli Stati democratico-liberali è andata sempre più mutando l’equilibrio su cui tradizionalmente si reggeva il potere politico. Ancora fino a qualche decennio fa, si faceva riferimento sostanziale ed esplicito a strutture antropologiche generalmente riconosciute, almeno in senso lato, come dimensioni costitutive dell’esperienza religiosa: la nascita, il matrimonio, la generazione, l’educazione, la morte. Oggi è avvenuto un fatto nuovo: “Questo riferimento, identificato nella sua origine religiosa, è stato messo in questione e ritenuto inutilizzabile”. Si sono andate assolutizzando in politica procedure decisionali, che tendono ad autogiustificarsi in maniera incondizionata.

Il presupposto teorico dell’evoluzione sopra richiamata ha il suo riferimento nel modello francese di laicité. Esso “si basa sull’idea dell’in-differenza, definita come neutralità, delle istituzioni statuali rispetto al fenomeno religioso e per questo si presenta a prima vista come idoneo a costruire un ambito favorevole alla libertà religiosa di tutti”. Ma, davvero è il più adatto per garantire la libertà religiosa? Questo è il punto! In realtà, si tratta di una concezione, ormai assai diffusa nella cultura giuridica e politica europea, in cui le categorie di libertà religiosa e della cosiddetta neutralità dello Stato sono andate sempre più sovrapponendosi, finendo così per confondersi.

Nella realtà, “per vari motivi a un tempo di carattere teorico e storico, la laicité alla francese ha finito per diventare un modello maldisposto verso il fenomeno religioso”. La necessaria aconfessionalità di uno Stato è divenuta neutralità nei confronti di qualsiasi apporto culturale espresso dalla religione e lo ha condotto ad abbracciare una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio. In tal modo lo Stato cosiddetto neutrale, lungi dall’essere tale fa propria una specifica cultura, quella secolarista, che attraverso la legislazione diviene cultura dominante e finisce per esercitare un potere negativo nei confronti delle altre identità, soprattutto quelle religiose, presenti nelle società civili tendendo a emarginarle, se non espellendole dall’ambito pubblico.

Lo Stato, sostituendosi alla società civile, rischia di scivolare verso quella posizione fondativa che la laicité intendeva rigettare, un tempo occupata dal fenomeno religioso. Sotto una parvenza di neutralità e oggettività delle leggi, si cela e si diffonde – almeno nei fatti – una cultura fortemente connotata da una visione secolarizzata dell’uomo e del mondo, priva di apertura al Trascendente. In una società plurale la visione secolarista è in se stessa legittima ma solo come una tra le altre. Se però lo Stato la fa propria, finisce inevitabilmente per limitare la libertà religiosa.

Come ovviare a questo grave stato di cose? Il cardinale invita a ripensare il tema della aconfessionalità dello Stato nel quadro di un rinnovato pensiero della libertà religiosa. “È necessario uno Stato che, senza far propria una specifica visione, non interpreti la sua aconfessionalità come distacco, come un’impossibile neutralizzazione delle mondovisioni che si esprimono nella società civile, ma che apra spazi in cui ciascun soggetto personale e sociale possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune”. Sconfessare un contributo offerto alla costruzione della società civile solo perché proviene da una visione religiosa è contro il necessario pluralismo.

Insomma, il tema libertà religiosa appare oggi come l’indice di una sfida molto più vasta: quella dell’elaborazione e della pratica, a livello locale e universale, di nuovi basi antropologiche, sociali e cosmologiche della convivenza propria delle società civili in questo terzo millennio. I credenti si uniscono a tutti gli uomini di buona volontà per cercare, non semplicemente le regole della buona convivenza, ma i fondamenti ultimi dell’uomo, della società e del creato.

Questo processo non s’identifica con un ritorno al passato, ma tiene conto dei mutamenti culturali e della natura plurale della società. “Deve prendere l’avvio – ha concluso il card. Scola – dal bene pratico comune dell’essere insieme”.

Marco Doldi

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