Fermarsi, situarsi, dimorare, prendere contatto con la terra, con lo spazio, lasciare che il tempo assuma il suo significato, accorgersi del valore della propria esistenza e di quella degli altri, contemplare e godere della bellezza del creato, ascoltare il silenzio, ammirare l’arte, lasciarsi trasportare dalle note della musica o dalla melodia di un bel canto, sentire sfiorare la mano da qualcuno che ci ama, avvertire di muoversi nel grembo di Dio, tutto questo e altro è vivere la vita sempre e in ogni momento, ricreandola con il Datore di ogni bene.
L’esperienza di questo tempo ci interroga, per definire il disagio provato durante la segregazione non cercata. Che cosa ci sta dicendo tutto ciò? Quale risposta dare?
Abbiamo bisogno di scoprire che ci siamo, senza lasciarci inghiottire dalla forza del tempo che, fino a febbraio, abbiamo eretto padrone della nostra esistenza. C’è l’urgenza di capire che il senso della nostra vita non è il tempo, ma Colui che ce l’ha donata gratuitamente. Nella corsa caotica di questi ultimi anni, molte volte, non abbiamo sperimentato di vivere nel tempo, ma lo abbiamo inseguito: ci siamo lasciati risucchiare dal suo vortice, che portava con sé tutto ciò che incontrava nello spazio, compresa la nostra esistenza.
Caratterizzati dalla provvisorietà, non come scelta di non attaccamento agli individui, alle cose, ma come possibilità di manipolare il tempo, non ci siamo data la possibilità di dargli senso e significato. In questi anni abbiamo consumato e non vissuto l’attimo presente, perciò non sempre siamo stati in grado di costruire un futuro radicato nel passato, che prende forma nell’oggi di Dio.
Non avendo cercato con fedeltà il Signore e il Vangelo, abbiamo bruciato tutto e, solo sfiorando la realtà, il mondo, le relazioni, il creato, ci siamo trovati immersi spesso nel non senso.
La parola che si è imposta sulla bocca di quasi tutti, è stata: non ho tempo! Come stiamo reagendo noi cristiani? Costretti oggi a vedere e a toccare lo spazio reale, dove ognuno esiste, spesso anche noi fatichiamo ad individuare l’alveo entro cui ciascuno è chiamato a lasciare un’impronta inedita, ma non egolatrica, capace di imprimere l’orma di una persona in relazione, in armonia, consapevole di essere animata dallo Spirito di Dio.
Avendo spesso la percezione di essere al di sopra di tutti, di ritenersi il migliore, di avere doti particolari, ecc., prima della pandemia, molte volte, anche noi abbiamo rifiutato di riconoscere i nostri contorni limitanti che danno forma alla persona e che ci costringono a confrontarci con la realtà autentica.
Oggi, obbligati al rispetto di alcuni accorgimenti, non sempre riusciamo a rimanere, a stare nei limiti, a familiarizzare con il luogo che ci accoglie, a scorgere le piccole cose presenti, a vivere la dimensione contemplativa della vita, a penetrare la profondità dell’esistenza.
Non è lo spazio che ci manca, ma la capacità di tenere i piedi aderenti alla terra: siano sempre di corsa, perché abbiamo bisogno di riempire i nostri vuoti con tante cose. Siamo chiamati, invece, a dare un volto, un nome, agli individui che incontriamo, a percepire tutta la nostra corporeità, il contatto con essa, con gli altri, con il creato e avvertire il respiro di Dio che continua a darci vita.
La frenesia ci spinge a voler disporre del mondo senza regole, ad abbuffarci di tutto ciò che incontriamo senza discernimento: l’obiettivo impellente da raggiungere a tutti costi è la sazietà e il benessere. Oggi ci lamentiamo della mancanza di libertà e non riusciamo a godere di nulla, neanche della vita che ci è stata donata gratis. Invocando lo Spirito, da battezzati, possiamo immergerci nella dimensione contemplativa della vita, venendo in contatto reale con quello che abbiamo. Valutando ciò che è veramente importante ed essenziale per ciascuno di noi, favoriamo una lettura diversa della realtà.
Imparando a coniugare la visione d’insieme con i frammenti che compongono il puzzle dello scorrere dell’esistenza e della creazione, ognuno può scorgere il limite come possibilità, che permette di cogliere tutto ciò che è al di qua del contorno e godere dell’armonia alla presenza di Dio. Tuffandoci nell’amore del Signore, che ama ciascuno fino alla morte di croce, possiamo cogliere come la familiarità costante con Lui agisce nel nostro cuore. Egli ci chiede di rendere visibile, tangibile e credibile l’amore di Dio per l’umanità.
Tutto ciò ci interroga. In base a che cosa ci stiamo convincendo che l’esperienza vissuta in questo periodo sia da considerare una menomazione esistenziale?
In che modo possiamo esperirla come un’occasione provvidenziale, anche se per alcuni versi molto dolorosa, per ripartire carichi di un nuovo vissuto che ci fa riscoprire la bellezza della vita autentica nel qui e ora, fatta di piccole cose, di relazioni veramente umane che dicono la presenza di Gesù Cristo, di silenzio e di ascolto, di attesa e di corresponsabilità, di gratitudine e di gratuità, di empatia e di custodia dell’altro?
Che cosa ci impedisce di vivere non più per noi stessi, ma secondo l’economia del dono e non del profitto, di riconoscere il diritto ad ognuno di poter esistere nella consapevolezza di far parte dell’umanità creata dal Signore?
Perché non scegliere di essere fino in fondo persone capaci di…, per poter essere felici secondo il progetto di Dio che gode della nostra felicità e che chiede solo di amare sempre come ci ha insegnato Gesù, senza lamentarci per quello che agogniamo o che ci manca?
La nuova partenza umana ed evangelica ci attende. È terminato anche per noi cristiani il tempo dell’io, re dell’universo. È giunta l’ora di vivere con fedeltà il Vangelo, narrando la bellezza dell’umanità e del creato, rendendo credibile la presenza del Signore nella storia.
Per realizzare ciò, Dio ha bisogno di me, di te, di noi!
Diana Papa