Ricorre in questi giorni (18 maggio 1920, 18 maggio 2020) il primo centenario della nascita di S. Giovanni Paolo II°, il Papa il cui ricordo è motivo di unione e conforto per i popoli e le religioni.
Sopravvive nella memoria collettiva l’invocazione certamente suscitata dalla devozione e dall’affetto popolare, ma anche dal dolore e dalle lacrime: “Santo subito!”. Erano trascorse solo poche ore dal momento in cui Papa Wojtila ci aveva lasciati e l’opinione pubblica intuiva già da allora le virtù eroiche e la santità di vita del Papa stesso. Come dimenticare la voce possente che, con solennità, si era levata ad Agrigento ad ammonire i mafiosi, esortandoli e convincendoli al pentimento subito, prima del giudizio di Dio?
L’accettazione del sacrificio, imposto dalla malattia, fu drammaticamente evidente nell’ultimo tentativo di dialogo proposto ai fedeli riuniti a Piazza S. Pietro, in quel pur vano sforzo di poter esprimere il pensiero, mentre ormai il grande Papa si avviava all’ultima svolta della vita. Il Papa sofferente, che si spese fino all’ultimo e con tutti i mezzi possibili, approntati dalla diplomazia vaticana, pur di impedire il conflitto iracheno: l’attività per difendere la pace mondiale merita certamente oggi di essere rivissuta, anche perché qualche aspetto forse è stato poco approfondito o comunque poco pubblicizzato dai mass media.
Il pensiero corre intanto indietro nel tempo fino al 2002 – 2003, quando l’ONU aveva febbrilmente approntato i mezzi giuridici per impedire il conflitto in Medio Oriente, cioè la guerra che doveva destabilizzare una intera regione dello scacchiere mondiale. Occorre ricordare subito che già l’IRAQ di Saddam Hussein era già stato sottoposto a dure sanzioni ( No fly Zone ed altro) dalle Nazioni Unite ed il dibattito in corso allora era quello di attenuare la durezza delle sanzioni economiche, già da tempo in atto contro il regime, sanzioni che colpivano però anche i popoli di quella Nazione.
L’adesione al comando di Isaia “Rimetti le obbligazioni gravose …rimanda liberi gli oppressi” era divenuto un fatto ineludibile, non si poteva immaginare un’altra guerra nella regione, dopo quella del ’91, senza alcun grave motivo, all’epoca del tutto escluso. L’ONU, infatti, nel corso del 2002, aveva approntato bene una struttura per corrispondere alle sollecitazioni delle grandi Potenze che ritenevano erroneamente che l’IRAQ di Saddam Hussein potesse possedere armi proibite. Erano stati inviati sul posto gli ispettori ( Blix ed El Baradei) per corrispondere e chiarire i termini di quella preoccupazione e se essa potesse essere fondata o meno, mentre il regime dell’IRAQ stava dando tutta la collaborazione necessaria. Una eventuale guerra non aveva alcun presupposto obiettivo giuridico su cui poter giustificare eventuali motivazioni e non soltanto perché l’IRAQ non poteva costituire motivo per quella azione di legittima difesa internazionale, di cui trattava l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite.L’IRAQ non rientrava certamente in quel caso e non poteva essere quello il motivo per il quale l’ONU potesse autorizzare un conflitto in quella regione. L’ONU conosceva bene questo aspetto della questione e per tal motivo aveva inviato gli ispettori.
Il Santo Padre aveva già sostenuto il compito dell’ONU ed il lavoro in corso degli ispettori ed aveva messo in guardia, ben conoscendo l’effetto distruttivo di qualsiasi conflitto – “Questi giovani che non sanno cos’è la guerra”. La guerra era inimmaginabile non soltanto perché non poteva sostenersi su qualsivoglia intervento dell’ONU. Il Papa aveva compreso perfettamente i termini in cui la questione era stata posta, ben al di là di quelle ambiguità politiche delle Nazioni che in linea di principio si dichiaravano del tutto contrarie alla guerra, ma solo con sterili dichiarazioni politiche, senza però assumere concrete iniziative, forse paralizzate dagli interessi economici in gioco.
In apparenza, tutto il motivo del contendere che divideva l’IRAQ dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna restava confinato o ancorato nella sospetta detenzione da parte di Bagdad di armi proibite ( antrace, chimiche o batteriologiche ), armi che però nonostante tutte le ricerche intraprese dagli ispettori delle Nazioni Unite, non furono in realtà mai trovate fino al momento dell’invasione dello Stato mesopotamico ( febbraio – marzo del 2003 ).
I dirigenti di Bagdad avevano prodotto peraltro le documentazioni probatorie idonee attestanti l’avvenuta distruzione delle stesse e pertanto non era poi logicamente possibile mettere in discussione le attestazioni presentate, senza il richiamo di gravi e fondati motivi, che erano del tutto insussistenti. L’apparato giuridico ed investigativo dell’ONU si era mosso ed il Consiglio di Sicurezza aveva organizzato il controllo dell’ampio ed esteso territorio dello Stato iracheno, per proteggere la pace ed evitare la violenza nelle operazioni del disarmo iracheno. C’era stata quindi, sul piano giuridico, la cessione di sovranità dai singoli Stati al Consiglio di Sicurezza e da quest’ultimo Organo agli ispettori delle Nazioni Unite, per mezzo del Segretario Generale dell’ONU, dal quale, ovviamente, i due funzionari-diplomatici dipendevano gerarchicamente. La risoluzione 1441 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite avvertiva, facendo riferimento a possibili “gravi conseguenze” ( valutabili sempre dalle Autorità ONU e non da altri diversi Organi o anche singoli Stati ) per il caso di ipotetica inosservanza, da parte di Bagdad dei doveri di collaborazione verso gli ispettori e le finalità ispettive. Ma in base alle relazioni prodotte da Hans Blix e da El Baradei, venne invece messa in risalto, in modo inequivoco, proprio la collaborazione prestata da Bagdad, anche per mezzo della creazione di un Ufficio ad hoc, che permise di corrispondere alle finalità ispettive, al punto che alcune visite ai siti erano effettivamente avvenute pure a sorpresa.
Da parte dell’IRAQ, l’attività apprestata era stata anche formalmente riconosciuta con uno status giuridico che prevedeva la rinuncia parziale alla sovranità territoriale a favore delle Nazioni Unite, rinuncia che si concretizzò subito, fin dal primo atto della prima ispezione. La verifica sul territorio di Bagdad, in quei primi mesi del 2003, stava andando bene e gli ispettori avevano perfino chiesto la proroga del mandato esplorativo, puntando su una decisione che risultasse poco conforme al loro parere, da parte del Palazzo di Vetro. Mentre tutto lasciava allora prevedere sviluppi positivi, venne introdotto l’ultimatum per il passaggio alla guerra, venne calato cioè dall’alto un atto di estrema gravità, e non soltanto politicamente e moralmente ingiustificato, un atto che si collocò subito nettamente e pienamente fuori da tutte le regole del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite, cioè dei principi basilari stessi delle Nazioni Unite.
Un doppio profilo di violazione dei principi giuridici dell’ONU: in primo luogo la violazione dello Statuto, perché solo l’ONU poteva revocare il mandato agli ispettori, col richiamo in sede. In quel caso, invece, gli ispettori fecero rientro precipitoso a New York, per tutelare la loro incolumità, poco prima dell’invasione dello Stato iracheno, da parte degli anglo-americani. In secondo luogo, gli ispettori stavano accertando la eventuale violazione di regole, agendo in posizione imparziale e di terzietà, rispetto alle parti in causa e l’irruzione prepotente della guerra, con lo scavalcamento dell’ONU, lasciava chiaramente intendere che l’unica giustizia “accettabile” dai belligeranti era solo quella derivante dall’esito della guerra, ammesso e non concesso che quella potesse ritenersi o chiamarsi giustizia.
Agivano direttamente, senza aspettare il verdetto dell’ONU: una eclatante, evidente violazione della Carta di S. Francisco del 26 Giugno 1945. L’art. 2 dello Statuto elenca infatti gli obblighi ed i doveri dei Paesi che fanno parte dell’Organizzazione. Tra essi risultano l’adempimento degli obblighi assunti in base allo status, la buona fede, la soluzione pacifica per le controversie internazionali, l’astensione dalla minaccia o dall’uso della forza, contro il territorio o l’indipendenza di qualsiasi Stato, qualsivoglia atto, comunque incompatibile con i fini delle Nazioni Unite. (Art. 2, punti 2, 3 e 4).
L’art. 34 della Carta dell’ONU prevede l’ipotesi che il Consiglio di Sicurezza possa fare indagini (cioè mandare gli ispettori) “su qualsivoglia controversia o su qualsiasi situazione che possa portare ad un attrito internazionale o dar luogo ad una controversia..”, cioè quello che era in atto per l’IRAQ e che venne impedito dalla violenza e dalla guerra.
Papa Wojtila fu molto rattristato per quel conflitto, per lo scavalcamento del ruolo ONU e le violazioni dello Statuto. La Santa Sede, nel suo complesso, prese autorevolmente posizione, in tutti i modi possibili della sua moral suasion: il Capo della diplomazia pontificia, card . Angelo Sodano inviò i suoi messaggi, con tatto, garbo, intelligenza e coraggio; il Papa oggi Santo, lo fece in modo forte, vigoroso, infaticabile, denunciò la “guerra illegittima”, cogliendo con il termine, in modo significativo e pieno, la doppia illegittimità della violazione delle regole della Carta di S. Francisco. Non solo quindi una guerra ingiustificata dal punto di vista politico, inutile o sbagliata, come pure molto acutamente è stato osservato, con sanzioni morali di grande valore e rilievo o spessore, ma una guerra in aperto contrasto con i principi giuridici del diritto internazionale, contro l’ONU e l’intera comunità mondiale.
Ricordiamo tutti quei concitati momenti: nell’immobilismo sostanziale dei governi mondiali, il Santo Padre Giovanni Paolo II° difese l’opera dell’ONU, con più determinazione e vigore dello stesso Segretario Generale Kofi Annan, che sembrò anzi ritirarsi perfino docilmente dal territorio iracheno, senza alzare la minima protesta per quanto stava avvenendo. In quel momento, forse tra i più drammatici mai vissuti dalla comunità mondiale (se si esclude la crisi missilistica cubana del “62) in cui tutto sembrò crollare sotto la sconfitta dell’autorità dell’ONU, tutto sembrò cadere in crisi di fiducia, fu il Papa ad ammonire sempre contro “l’abisso del male” costituito dalla guerra. Lo fece con autorevolezza e coraggio, nonostante la grave infermità e potendo contare solo su poche, ormai residue forze fisiche. Lo fece soprattutto con tutta l’autorità di Capo della Chiesa Cattolica, derivante dal Magistero morale ed anche derivante dal grande, riconosciuto carisma personale.
Sebastiano Catalano