Presentato nella basilica di San Sebastiano il volume che raccoglie le omelie del Giovedì Santo dal 2002 al 2019. Relatore il gesuita padre Felice Scalia, interventi di Enza Sciuto, Anna Maria Cutuli e Rita Caramma.
“L’omelia, nel mio ministero, l’ho considerata e la considero un momento speciale, privilegiato, opportunità straordinaria, nella sua ordinarietà, per annunciare la Parola, per aiutare i fedeli a comprenderla, a farsi prendere per mano, a lasciarsi illuminare ed inquietare dalla Parola”.
Con questa consapevolezza e dietro le amichevoli insistenze di alcuni fedeli, don Vittorio Rocca, decano della Basilica di San Sebastiano e docente di Teologia Morale presso l’Istituto teologico San Paolo di Catania, ha pubblicato il libro dal titolo “Per stare in piedi bisogna stare in ginocchio. La Chiesa del Giovedì Santo” (Klimax edizioni, pagg. 246). Si tratta di un’antologia delle omelie del Giovedì Santo, tenute a partire dal 2002, che rappresentano il compendio della sua attività sacerdotale, sviluppatasi finora tra le comunità di Aci Castello, Aci Sant’Antonio e Acireale. “Questo libro – ha scritto don Rocca nell’introduzione – lo dedico anzitutto ai parrocchiani e ai fedeli per i quali le omelie sono state pensate e comunicate: ai castellesi, ai santantonesi e alla comunità della Basilica di San Sebastiano di Acireale. Spero che queste riflessioni possano far del bene anche a coloro che adesso ne potranno far oggetto di meditazione e preghiera”.
Il volume è stato presentato per la prima volta presso la Basilica acese domenica 5 luglio. Ad introdurre e moderare l’incontro è stata Enza Sciuto, responsabile del Gruppo Famiglie, la quale ha così evidenziato le tappe o fasi in cui si articola questo cammino: “Cercare Gesù per stare con lui nella concretezza” (Aci Castello, 2002-2005); “Incontrare Gesù per conoscere il Padre. L’affettività” (Aci Sant’Antonio, 2007-2015); “Amare come Gesù ti ama. Relazionalità” (Acireale, 2016-2019). Tre, quindi, le parole-chiave: ricerca, incontro, amore. “Si tratta di omelie particolari – ha detto la Sciuto – che hanno una caratteristica dinamica, dialogica, porgono delle domande, fanno emergere delle riflessioni, che ci fanno crescere nella vita cristiana”.
A seguire ha preso la parola padre Felice Scalia (apprezzato religioso gesuita, acese di nascita), il quale nella sua relazione ha innanzitutto sottolineato come l’omelia sia un genere letterario tutt’alto che semplice dal momento che bisogna guardare bene a chi si parla, perché il testo biblico può evocare nei fedeli sentimenti diversi. Quindi è da apprezzare un’opera come la presente raccolta di omelie che, sostanzialmente, vertono sempre sui testi proclamati il Giovedì Santo.
“Dal corposo volume, a mio avviso, si possono trarre quattro chiavi di lettura, che così schematizzo:
- Inculturazione della fede: don Vittorio ha sempre presente il necessario adattamento della parola al “qui ed ora”; cambia in base alla comunità ma cerca sempre un linguaggio comprensibile a tutti, per rendere “attraente” la parola di Dio.
- Sentire con la mente e ragionare con il cuore: don Vittorio vuole essere prete dell’oggi, della gente del suo tempo per trasmettere parole chiare di salvezza; sa che deve “convertire” evangelicamente, tuttavia non si atteggia a “Savonarola acese” ma a mite e buon pastore.
- Misto di fede, poesia e profezia. Don Vittorio è prete con tutto sé stesso, con la sua intera personalità, anche artistica, come si nota nella scelta delle immagini. Chi legge il libro troverà il gusto sensibile, estetico di una parola vera, che tocca la vita e trasforma l’esistenza.
- La chiesa del Giovedì Santo è l’unica chiesa che si può chiamare “Chiesa di Gesù”. C’è una consonanza tra quanto vive e scrive don Vittorio e il modello indicato da papa Francesco: vivere la vita e la fede nell’essenziale, che è il comandamento di amarci gli uni gli altri per non lasciare al loro destino gli ultimi della terra.”
Un’affinità pastorale tra i due, secondo Scalia, sta proprio in questo anelito di cogliere l’essenza del cristianesimo. Fondamentale è la relazione tra concretezza storica e profezia (da qui l’affinità tra prete e poeta). Come dice Papa Francesco, abbiamo bisogno di “poeti sociali”, che annuncino un mondo “altro” di cui abbiamo bisogno, non quello dei competitori-nemici ma di chi si prende cura l’uno dell’altro. “In queste omelie – continua padre Scalia – don Vittorio vuole presentare, annunziare, rendere tangibile il messaggio dell’ultima cena. Il rischio che si corre è, infatti, quello di annacquare la nostra fede in Cristo ripetendo semplici ritualità, conservando così un ricordo sbiadito di Gesù, che svanisce poi nella quotidianità mentre il suo messaggio era veramente “sovversivo” perché orientato sempre alla “conversione”, alla meta che Egli ci indica, quella di diventare veramente figli di Dio e fratelli”.
Il secondo intervento programmato è stato quello di Anna Maria Cutuli, già presidente diocesana di Azione Cattolica, la quale ha rimarcato le tre parole chiave del libro: concretezza, affettività e relazione. Tre termini che sono riconducibili allo stesso concetto di amore perché l’amore è concreto, segno di attenzione verso l’altro e di reciprocità nel rapporto tra pastore e fedeli. “Il gesto dello stare in ginocchio, come Gesù nella lavanda dei piedi, è segno di umanità del pastore, che vive e cresce in spirito di servizio”. La Cutuli ha poi evidenziato lo sforzo dell’autore delle omelie di fare gustare la parola, che è sempre la stessa, in modo diverso. “Mi ha colpito anche la cura delle immagini, a partire da quella del seminatore perché come cristiani siamo chiamati a seminare sempre e ovunque. Ringrazio don Vittorio, come assistente diocesano di AC, perché con questo volume ha risposto anche al desiderio di approfondimento spirituale che da qualche tempo era stato espresso dalla nostra associazione”.
La giornalista Rita Caramma ha preso a seguire la parola per delle brevi ma incisive riflessioni, che le sono sorte dal profondo del cuore, per la gioia sempre più grande che le ha suscitato la lettura del libro. “E’ importante ritrovarci e risentirci parte di una Chiesa che cammina e che è fatta anche di noi, sia pure con le nostre miserie, ma con la voglia di crescere in Cristo, per farci servitori, perché “Chi vuole disegnare la Chiesa secondo il cuore di Cristo la dovrebbe perciò disegnare con l’asciugatoio ai fianchi” (Tonino Bello, vescovo). Dalle omelie del Giovedì Santo della Pasqua 2016, 2017, 2018 e 2019, come dalle altre di don Vittorio Rocca, così ricche, così appassionate, così pregnanti, noi riceviamo tantissimi spunti di riflessioni e preghiera, tantissimi stimoli a crescere cristianamente.
Tantissime indicazioni per una ricerca di quella “Via, Verità e Vita” che porta all’Amore, che dona Amore, nella Sua infinita misericordia”.
Don Vittorio Rocca, nel suo intervento conclusivo di saluto e ringraziamento ai presenti, all’editore, a padre Scalia e alle altre relatrici della serata, ha voluto anche chiarire dove ha preso lo spunto per il titolo del libro: “Ho preso ispirazione da un uomo di Dio a me assai caro, don Oreste Benzi. Era un’espressione che lui ripeteva spesso, non solo con le parole ma soprattutto con la sua testimonianza di preghiera”.
Guido Leonardi