Intervista / Mons. Rosario Di Bella compie 60 anni di sacerdozio: una vita spesa per donarsi agli altri

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E’ con grande gioia che la Comunità diocesana di Acireale si appresta a vivere, il prossimo 14 agosto, il sessantesimo anniversario di sacerdozio di mons. Rosario Di Bella, Vicario generale della nostra Diocesi dal 2002 al 2012 e Prevosto del Capitolo della Cattedrale.
Un’occasione propizia per lodare e ringraziare il Signore per il dono immenso della vocazione sacerdotale che si spiega solo come mistero dell’amore grande di Dio per coloro che Egli chiama a servizio della sua Chiesa e dell’umanità. “Ogni sacerdote, scelto tra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati”. (Eb. 5, 1.4).
In linea con il suo stile sobrio ed essenziale, sono previsti due momenti per innalzare preghiere, affinchè il Signore continui a sostenere mons. Di Bella con la sua grazia e il suo amore. Venerdì 14 agosto, alle ore 19, presso la Basilica “S. Filippo d’Agira” in Aci San Filippo si terrà una solenne celebrazione liturgica presieduta dal nostro vescovo, mons. Antonino Raspanti. Mentre sabato 26 settembre, alle ore 19.30, presso la Basilica Cattedrale di Acireale, sarà celebrata una Santa Messa presieduta dallo stesso mons. Rosario Di Bella, con la partecipazione dei canonici del Capitolo della Cattedrale.
L’attività presbiterale di don Rosario è stata molto intensa e ricca di tante esperienze pastorali. Dopo l’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 14 agosto 1960, nella chiesa parrocchiale di “S. Lucia” in Aci Catena, per le mani di mons. Salvatore Russo, è stato inviato come vicario nella parrocchia “S. Isidoro Agricola” di Giarre. A partire dal 1974 viene chiamato al delicato compito di Cappellano Militare. Una missione che lo porterà a contatto con tanti giovani, in molti casi, bisognosi di ricevere il primo annuncio del vangelo. Rientrato in diocesi dal novembre 1995 è Direttore dell’Ufficio della Caritas diocesana, dell’Ufficio Missioni e per l’Ecumenismo. Successivamente, a partire dal 2002, sarà chiamato a svolgere i preziosi servizi di Vicario generale della nostra Diocesi, di Canonico della Chiesa Cattedrale e Membro del Consiglio Presbiterale. Esempio di innata umiltà e pacatezza, nel 2012 è stato nominato dal Papa protonotario apostolico, il più alto grado dei titoli onorifici prelatizi.
Celebrare un anniversario significa ricordare un fatto già avvenuto e farne memoria nell’oggi. Per un prete, così come accade per gli sposi che ricordano il giorno delle loro nozze, celebrare l’anniversario di ordinazione vuol dire rivivere non solo un fatto del passato, ma dire grazie a Dio perché ciò che è avvenuto in un giorno lontano, è sempre vivo e attuale, ogni momento della propria vita. Sessanta anni di vita sacerdotale non sono pochi. Ed è anche naturale il bisogno di voltarsi indietro per un momento e valutare il tratto di strada percorso, da quando si è sentita forte ed esigente la chiamata del Signore. Siamo andati a trovarlo e con la disponibilità che lo hanno sempre contraddistinto si è lasciato intervistare, rispondendo con sincerità e schiettezza alle nostre domande.

Don Rosario, a sessant’anni dalla sua ordinazione, si sente di tracciare un breve bilancio del suo intenso cammino sacerdotale?
«La mia vita di sacerdote la dividerei in tre periodi. Il primo è quello vissuto come Vicario della Parrocchia “S. Isidoro Agricola” di Giarre, che allora, con circa dodicimila abitanti, era la più grande della nostra diocesi. Mi fu affidato il compito di dedicarmi all’oratorio. Una esperienza entusiasmante dove, con l’aiuto del Signore, ho sempre cercato di dare alla comunità, senza mai risparmiarmi, la parte migliore di me, forse i migliori anni della mia vita sacerdotale, quelli che hanno coinciso con la mia giovinezza. L’oratorio di Giarre diventò un vero luogo di accoglienza, con le porte sempre aperte. Un cantiere di lavoro con un serio progetto educativo, che poneva in primo piano la crescita umana e cristiana dei tanti ragazzi e giovani che lo frequentavano. Sono passati tanti anni e riaffiorano molti ricordi. Come persona che ha posto tanta fiducia in questa importante istituzione educativa, sono contento che, dopo alcuni momenti di crisi, in questi ultimi anni, gli oratori sono stati riscoperti come enti sicuri di riferimento valoriale con il fine primario di guidare ragazzi e giovani ad elaborare una sana concezione di vita e a collocare gradualmente la religione e la fede al centro del proprio progetto di vita, così da divenire cristiani autentici.

  Il secondo periodo è quello che coincide con il servizio di Cappellano militare che ha inizio nel giugno del 1974 come Ispettore dell’Ottava Zona Marche di Ancona. Un itinerario luogo venti anni che mi porterà alla Scuola di Polizia di Piacenza e Reggio Emilia e successivamente a Palermo e Messina. Anche questa è stata una esperienza edificante che mi ha messo a contatto con tanti giovani, spesso molto lontani dall’esperienza cristiana. E’ stato molto bello recuperare alla vita sacramentale diversi giovani. Centinaia di loro hanno ricevuto i sacramenti della Prima Comunione e della Cresima; ho provato anche la grande emozione di battezzare sette giovani e ringrazio il Signore per avermi dato la gioia di accompagnare alla vita sacerdotale cinque militari.

   Il terzo ed ultimo periodo è quello speso al servizio della nostra comunità diocesana. Finita l’esperienza di cappellano militare, ritornato in diocesi, Mons. Malandrino nel 1995 mi volle affidare l’Ufficio della Caritas e successivamente l’Ufficio per l’Ecumenismo. Un servizio che mi ha dato la possibilità di vivere a contatto con le diverse parrocchie e conoscere meglio le realtà periferiche e le condizioni di difficoltà e di bisogno presenti nel territorio della nostra diocesi. Successivamente sono stato chiamato da Mons. Gristina a svolgere il delicato compito di Vicario generale. Servizio che ho cercato di svolgere in perfetta comunione con i Vescovi che si sono succeduti nel tempo e con i miei confratelli sacerdoti che mi volevano bene e mi seguivano, ben sapendo che mai decisione veniva presa senza prima essere attentamente soppesata».

Come è nata la sua vocazione al sacerdozio?
«La mia vocazione è nata a Lari, paesino della Toscana dove mio padre comandava la Stazione dei Carabinieri. Ancora bambino, facevo il chierichetto, il mio Parroco don Antonio Botti, con molta delicatezza, mi propose, se mi sarebbe piaciuto da grande diventare sacerdote. Mi raccomandò di non dargli una risposata immediata ma di riflettere bene sulla proposta. Avevo appena 11 anni e nei mesi successivi seguivo ovunque il mio parroco. Vedevo in lui un esempio di vita da imitare. Così due mesi dopo ebbi il coraggio di dirgli di si. Il seme della vocazione aveva cominciato a germogliare e a manifestarsi nel mio cuore. Così, quando con la mia famiglia siamo ritornati in Sicilia, fu Padre Mario Scalia, parroco di Santa Lucia, paese di origine dei miei genitori, ad accompagnare la mia vocazione e l’ingresso nel Seminario vescovile di Acireale, avvenuto nell’ottobre 1948. Dodici anni dopo, il 14 agosto 1960, con il cuore pieno di gioia, nella chiesa parrocchiale di “S. Lucia” in Aci Catena, per le mani di Mons. Salvatore Russo, fui ordinato sacerdote».

Cosa desidera dire ai giovani che si sentono chiamati dal Signore a vivere questo ministero nella Chiesa?
«Ai giovani mi sento di dire di mettersi in ascolto del Signore, con la preghiera ed il silenzio. La Sua chiamata si può manifestare in mille modi, ma sempre nel cuore di coloro che hanno saputo mettersi in ascolto. E di non avere paura di dare una risposta fiduciosa e generosa. Il Signore non ci lascia mai soli. Nella mia vita sacerdotale, nei momenti di gioia, ma anche in quelli di maggiore tribolazione, ho sempre potuto sperimentare la Sua silenziosa presenza accanto a me».

In questi primi sessant’anni di sacerdozio è stato chiamato a svolgere tanti servizi nella Chiesa. Qual è stata l’esperienza che l’ha più arricchita?
«Devo dire che tutte le esperienze fatte nei tanti anni di vita al servizio del Signore e della sua Chiesa mi hanno arricchito e migliorato come uomo e sacerdote. Tuttavia il periodo che torna spesso nei miei ricordi è quello trascorso a Giarre. L’esperienza pastorale di quegli anni a favore dei più poveri e le tante attività oratoriali li porto sempre nel mio cuore. In quegli anni Giarre fu interessata da un forte incremento di edilizia economica e popolare. Frutto di un disorganico sviluppo edilizio della città, che portò, in poco tempo, alla nascita di intere aree destinate alla costruzione di nuove case popolari. Nacque così la questione dei quartieri degradati, la cosiddetta periferia urbana, molto spesso abbandonata dalle istituzioni, dove le condizioni di vita della popolazione che la abitava erano veramente difficili. In quel momento ci impegnammo come parrocchia, grazie anche alla generosità dei tanti giovani dell’oratorio, per fare fronte alle necessità di quanti bussavano alle porte della comunità parrocchiale chiedendo conforto e speranza, ma anche l’aiuto necessario per una vita dignitosa».

Immagino che essere sacerdote non è sempre facile, le chiedo: qualche volta ha avuto momenti di scoraggiamento?
«Scoraggiamento mai, anche se ci sono stati momenti molto difficili. Quelli trascorsi a Palermo, ad esempio, tra la fine degli anni ottanta e l’inizio del decennio successivo, hanno segnato per sempre la mia vita di sacerdote. Erano gli anni delle stragi di mafia, e Palermo ha vissuto un periodo particolarmente sanguinoso che ha causato centinaia di morti tra uomini politici, magistrati e tanti rappresentanti delle forze dell’ordine. Dopo l’uccisione del Prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, seguirono tanti attentati che culminarono nelle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, dove persero la vita i giudici Falcone e Borsellino. Come Cappellano militare, spesso sono stato chiamato a benedire le salme, nei luoghi degli attentati, o, in qualche caso, a celebrare i funerali. Momenti strazianti che non è facile descrivere! Ricordo ancora che, come gesto di solidarietà e di vicinanza nei confronti dei caduti, vittime della mafia, per tutto il tempo che rimasi a Palermo, decisi di indossare, ogni giorno e in ogni circostanza, la divisa di militare, anche quando mi sarebbe stato più comodo ed utile indossare gli abiti civili».
La vita di un sacerdote è sicuramente un’esperienza straordinaria; noi possiamo solo immaginare le difficoltà, le paure, le gioie di una vita spesa tutta per la Chiesa, ma ascoltando le parole di mons. Di Bella si percepisce la bellezza di una vita dedicata ogni giorno per donarsi agli altri. Oltre alla sua totale dedizione al ministero, abbiamo potuto apprezzare la sua sensibilità e l’interesse appassionato per la nostra comunità diocesana. Se ancora oggi, dopo sessant’anni di sacerdozio, è stato disposto a raccontare la sua vita, si vede che ha un cuore giovane, ancora innamorato di Cristo e della Sua Chiesa.

                                                                                                  Giovanni Centamore

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