Carissimo don Roberto,
ad una settimana dal tuo “martirio” ho deciso di scriverti, perche’ adesso le luci si sono spente e il tuo nome, come quello di tanti altri che hanno amato usque ad effusionem sanguinis, cade in oblio per la cronaca.
Tu, a ventisette anni di distanza , sei un legame che lega il nord e il sud. Il 15 settembre 1993 veniva ucciso, per mano mafiosa, don Pino Puglisi, il Parroco di Brancaccio a Palermo; dopo ventisette anni tu sei stato uccio, per mano di follia umana, mentre – come eri solito fare ogni mattina – eri in servizio attivo per portare la colazione ai poveri . Entrambi preti, entrambi a servizio dell’uomo e della fascia piu’ debole, entrambi legati dalla passione per Dio e per l’uomo.
Grazie Confratello carissimo! Perche’ con la tua vita e la tua morte ci hai additato “la misura alta della vita cristiana ordinaria” (Novo Millennio Ineunte, 31), quella vita che spesso non fa cronaca, o se la fa e’ solo per criticare l’operato di chi si schiera dalla parte dei poveri, i quali “hanno sempre ragione, anche quando hanno torto” (Don Tonino Bello).
Io non ti ho mai conosciuto e prima della tua uccisione non sapevo neanche che ci fossi. Eppure alla notizia della tua morte mi si e’ stretto il cuore, ho provato la commozione che si prova dinanzi la perdita di una persona cara, perche’ per il carattere ontologico impresso nel nostro cuore sin dal giorno della nostra ordinazione sacerdotale, noi apparteniamo alla stessa famiglia presbiterale, sebbene appartenenti, giuridicamente, a diocesi differenti.
La memoria liturgica della Beata Vergine Maria Addolorata, che quel giorno celebravamo, mi ha consolato non poco. Su quel marciapiede in cui sei stato crudelmente ferito a morte, Maria ti avra’ accolto tra le sue braccia, come in quel famoso venerdi santo accolse il corpo esamine del suo figlio deposto dalla croce. Tra quelle braccia materne, hai affrontato il viaggio verso l’eternita’ mentre la voce del Giudice Supremo ti avra’ ripetuto “Vieni, benedetto dal Padre mio, perche’ ero nudo e mi hai vestito, ero affamato e mi hai dato da mangiare, carcerato e sei venuto visitarmi ….. ogni volta che hai fatto questo al piu’ piccolo dei miei fratelli lo hai fatto a me” (Mt 25).
Caro don Roberto, la tua morte, come quella del seme di cui parla il Vangelo (Gv 12), e’ destinata a portare frutto. Essa maturera’ il frutto del bene, del servizio, dell’abnegazione, di una Chiesa che si fa prossima ai fratelli, soprattutto piu’ deboli e scartati fuori dal sistema egoistico del pensare umano, in sintesi maturera’ il frutto della << santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio>> (Papa Francesco, Gaudete et Exsultate, 7 ).
Grazie per esserci stato, grazie per la tua testimonianza di una vita interamente donata.
Grazie, perche’ hai creduto fino in fondo a quelle parole che Manzoni mette in bocca al cardinale Federigo Borromeo nel famoso incontro con don Abbondio: “E quando vi siete presentato alla Chiesa, – disse, con accento ancor più grave, Federigo, – per addossarvi codesto ministero, v’ha essa fatto sicurtà della vita? V’ha detto che i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da ogni pericolo? O v’ha detto forse che dove cominciasse il pericolo, ivi cesserebbe il dovere? O non v’ha espressamente detto il contrario? Non v’ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi ? Non sapevate voi che c’eran de’ violenti, a cui potrebbe dispiacere ciò che a voi sarebbe comandato?
Quello da Cui abbiam la dottrina e l’esempio, ad imitazione di Cui ci lasciam nominare e ci nominiamo pastori, venendo in terra a esercitarne l’ufizio, mise forse per condizione d’aver salva la vita? E per salvarla, per conservarla, dico, qualche giorno di più sulla terra, a spese della carità e del dovere, c’era bisogno dell’unzione santa, dell’imposizion delle mani, della grazia del sacerdozio?
Basta il mondo a dar questa virtù, a insegnar questa dottrina. Che dico? oh vergogna! il mondo stesso la rifiuta: il mondo fa anch’esso le sue leggi, che prescrivono il male come il bene; ha il suo vangelo anch’esso, un vangelo di superbia e d’odio; e non vuol che si dica che l’amore della vita sia una ragione per trasgredirne i comandamenti. Non lo vuole; ed è ubbidito. E noi! noi figli e annunziatori della promessa! Che sarebbe la Chiesa, se codesto vostro linguaggio fosse quello di tutti i vostri confratelli? Dove sarebbe, se fosse comparsa nel mondo con codeste dottrine?” (Promessi Sposi, Cap. XXV).
Dal cielo continua a sorridere, spronaci, soprattutto a noi preti, perche’ piu’ che dirci, impariamo ogni giorno ad essere cristiani. Come lo sei stato tu!
Don Roberto Strano