Religiosità popolare / Quelle croci sui muri dei palmenti etnei. Oltre al simbolismo una forte valenza antropologica

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Il vulcano e l’uomo. Un rapporto lungo, suggestivo, fecondo. Una convivenza da cui l’uomo ha tratto beneficio sin dai tempi primordiali. L’ingegno dell’uomo ha tenacemente sovrapposto al paesaggio lavico un paesaggio agrario tra i più ricchi della Sicilia e del pianeta. Ma il paesaggio creato dagli uomini non è solo quello dei campi coltivati o dei numerosi insediamenti sparsi tra le valli, le colline e la pianura. Ad un altro livello, quello dell’immaginario più o meno colto, si è elaborato un paesaggio ricco di miti e simboli. L’Etna, patrimonio Unesco, è dunque, per dirla con le parole di Hélène Tuzet, viaggiatrice in Sicilia nell’ottocento, una “vivante antithese…” cioè un’antitesi vivente, contraddistinta dal dualismo della fertilità e della distruzione, della neve e del fuoco, e così via.

Sul frutto della vite e del lavoro dell’uomo potremmo parlare senza mai fermarci, citando non solo i profeti, i vangeli (uno su tutti quello di Giovanni, “Io sono la vite, voi i tralci”), gli autori del passato, enologi e produttori noti, ma anche osservando un territorio, le sue cantine, in breve il suo genius loci. Ecco qualche esempio.

A Montargano, nel territorio di Mascali, tra un susseguirsi di appezzamenti di terreni che si adagiano guardando a est il mare e a ovest “a Muntagna”, troviamo un antico rudere di palmento disposto su tre livelli. Un luogo incantevole dove il tempo s’è fermato e si respira quell’aria romantica e eroica della vendemmia di una volta. Il giorno della visita mi fa da guida Lorenzo, un mio amico sommelier.

Appena entrati nel casolare, sulla parete che sovrasta la grande vasca intravediamo un altorilievo ritraente una croce latina (vedi foto). Una particolarità che ha subito riacceso la mia sete di conoscenza. Così decidiamo di interpellare sulla scoperta il professore Antonino Patané, il massimo conoscitore di questi argomenti nell’area etnea. Si tratta, ci conferma lo storico catanese autore del testo “L’oro rosso dell’Etna”, di un’autentica particolarità.

In alcuni palmenti di Randazzo sono state ritrovate le effigi della croce dei cavalieri di Malta, a Monterosso invece oltre alla croce latina troviamo altri simboli come la barca o un ramoscello di alloro. Dietro a questa usanza dal valore simbolico c’è molto di più. C’è innanzitutto la conferma del profondo legame tra la fede e il popolo: la scelta della croce sulla vasca non è casuale dal momento in cui è lì che avviene la trasformazione del mosto, un passaggio molto delicato che evidentemente non veniva espletato solo con l’ingegno dei vignaioli ma soprattutto invocando “protezione” dall’Alto.

C’è poi un valore antropologico: dobbiamo pensare alla vendemmia non tanto come al primo anello del processo produttivo del vino ma a un vero e proprio rituale. A quei tempi tutta la fase della “pistatura” fino al versamento del mosto nelle vasche prevedeva la recita di orazioni in dialetto. A suon di rime baciate si recitava la Litania dei Santi e altre canzoncine per la buona riuscita del faticoso lavoro.

Il vino ha attraversato l’iconografia e la narrazione dell’umanità sin dall’antichità. E già nell’antichità ci si rivolgeva agli dei. Con il cristianesimo sono arrivati i Santi. E nel mondo del vino, di Santi, ce ne sono parecchi: per salvaguardare la vendemmia, per proteggere le vigne, gli osti e persino gli ubriaconi.

Vi starete già chiedendo se è san Martino che dobbiamo chiamare in causa. Sì ma non è l’unico. Per chiedere la pioggia, per difendersi dalle malattie della vite e per sino la cattiva abitudine dell’alcolismo lo specialista era San Urbano di Langres. Contro la grandine e le avversità climatiche San Barnaba mentre a fine vendemmia s’invocava San Teodulo. E poi ancora san Zeno, san Vinceslao e san Vincenzo Ferrer (nell’iconografia spesso tiene in mano un grappolo d’uva).

C’è anche una santa, Isabella d’Aragona, protettrice degli enologi. Curiosità: lei il vino non lo beveva. I medici, criticando il suo rigido regime alimentare, le consigliarono di bere anche del vino per “calmare i frequenti mal di stomaco”.

Un ulteriore riferimento. Nel Benedizionale del Messale Romano il sacerdote benedice la campagna e chiede al Signore: “La tua benedizione ci accompagni nel tempo della semina e del raccolto, della mietitura e della vendemmia; fa che al termine dei nostri giorni possiamo ricevere dalle tue mani il frutto delle opere buone compiute nel tuo nome”.

Domenico Strano

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