La notizia, che risale a meno di un mese fa, della chiusura di un noto punto vendita – l’ennesimo dovremmo sottolineare – del ramo alimentare catanese sembra non aver suscitato molto scalpore; questo genere di notizie, infatti, cominciano a passare ormai in sordina e sembrano non destare più particolare attenzione. La precarietà economica oggi attribuita anche all’attuale emergenza sanitaria riesce a confonderci le idee e a rubarci lo sguardo obiettivo su quanto accade intorno a noi.
La chiusura di un altro punto vendita Auchan, infatti, nulla ha a che vedere con la crisi economica indotta dalle restrizioni dovute alle misure di contenimento della pandemia, ma si tratta di ben altro. Ulteriore segno della definitiva scomparsa del gruppo francese dal territorio italiano, ed in particolare di quello siciliano, la chiusura avvenuta il 14 novembre scorso del punto vendita ex Auchan, ubicato al piano superiore del centro commerciale di Porte di Catania, rientra in un cambiamento celato dietro un piano di ristrutturazione e riorganizzazione edile che, a dire il vero, giova all’affermazione del gruppo cooperativo italiano Conad Italia quale leader nazionale della grande distribuzione organizzata. Un’operazione graduale resa possibile dalla riconversione del marchio Auchan nella temporanea “Margherita Distribuzione” che, in realtà, cesserà presto di esistere come attività commerciale per rimanere solo un’azienda in liquidazione, almeno per un altro anno, al fine di completare tutte le cessioni dei supermercati. Gli spazi immobiliari dell’ex punto vendita, intanto, verranno affittati da Pianeta Cospea (affiliata Conad) e da Oviesse/Upim, aziende che, con l’apertura di nuovi punti vendita non necessariamente alimentari, avrebbero dovuto farsi carico del ricollocamento del personale che lavorava presso l’attività commerciale preesistente.
Ma cosa ne è stato veramente di quei lavoratori? Il piano di ricollocamento ha rispettato gli accordi regionali previsti? Niente affatto. L’accordo non c’è stato perché le sigle sindacali si sono rifiutate di firmarlo. Il piano prevedeva, infatti, l’incentivo all’esodo, che circa una ventina di dipendenti hanno accolto e via via anche altri continuano a rivalutare, ed un ricollocamento che mancava, però, di criteri oggettivi e non rispettava appieno la priorità delle categorie deboli. Ma, nonostante l’accordo non sia stato raggiunto, l’azienda ha proceduto comunque unilateralmente e con sottile abilità ha saputo lasciare scontenti solo in pochi. Sono infatti 36, sui 189 iniziali, i dipendenti tagliati fuori che, al momento, sono stati messi in cassa integrazione, in attesa di una seconda fase verso la quale, al momento, non si intravedono né certezze né garanzie.
Stessa preoccupazione merita il punto vendita Auchan di Misterbianco, che conta circa 150 lavoratori e per il quale attualmente non esiste alcun progetto industriale o di riqualificazione.
Ed è per questo motivo che, con ogni mezzo, i lavoratori rivolgono un appello accorato alle istituzioni e agli organi competenti, affinché non solo non si disinteressino di quanto sta accadendo ma si impegnino a garantire maggiore controllo e opportune verifiche di correttezza delle tanto discusse procedure di ricollocamento, ovvero curino il conseguente evolversi delle vertenze, in un settore nel quale troppo spesso mancano regole ben definite e la vigilanza necessaria ad impedire che le aziende sfruttino all’osso le risorse del territorio per poi abbandonare e danneggiare la forza lavoro locale.
In quest’ottica di sensibilizzazione, un primo passo è stato fatto: i lavoratori sono riusciti ad ottenere l’attenzione della deputata all’Ars Jose Marano che si è fatta portavoce della richiesta al Presidente della Commissione Lavoro della convocazione di una seduta con la presenza dei 36 dipendenti in cassa integrazione, al fine di poter dare loro prospettive più rassicuranti. Non resta che seguire l’evolversi delle vicende, auspicando l’intervento ed il controllo delle istituzioni anche verso quei punti vendita le cui sorti rimangono a tutt’oggi una vera incognita.
Cristiana Zingarino