La scelta di Nova Gorica e Gorizia quali capitali europee della cultura per il 2025 rappresenta, indubbiamente, un’opportunità davvero importante non solo per le due città ma anche per l’intero territorio bagnato dal fiume Isonzo.
L’annuncio di venerdì 18 dicembre non giunge però per caso. Segna il punto di arrivo del profetico impegno di uomini e donne che negli ultimi settant’anni hanno saputo essere profeti del dialogo anche quando questo veniva visto con sospetto e diffidenza non solo dai rispettivi governi ma anche in ambito locale; la profezia di lavorare insieme ed impegnarsi per la realizzazione di una memoria condivisa capace di leggere le vicende storiche vissute in questo angolo d’Europa alla fine del secondo conflitto mondiale non come motivo di divisione e di scontro ma come incentivo per realizzare un domani diverso di riconciliazione e di pace.
Mai come in questo periodo – segnato dal lockdown generato dalla pandemia in corso e dai divieti che hanno interrotto il flusso delle persone fra Italia e Slovenia – abbiamo compreso cosa abbia veramente significato il venire meno del confine. Di quel confine materiale imposto per quasi mezzo secolo dalle idiozie degli uomini asserviti alle ideologie ad una terra che per millenni aveva fatto dell’incontro e confronto fra diversità culturali e linguistiche la propria ricchezza.
La scelta di Nova Gorica e Gorizia come capitali europee della cultura obbliga, però, a non fermare lo sguardo unicamente al passato: sarebbe una nostalgia tanto inutile quanto sterile, appagante solo per chi – chiamato a gestire la cosa pubblica – considera come obiettivo del proprio impegno unicamente il record di like sul proprio profilo social. L’occasione di valorizzazione colpevolmente perduta dal nostro territorio in occasione del centenario della fine del primo conflitto mondiale deve essere monito per evitare che certi insuccessi si ripetano.
Le due città dell’Isonzo sanno di avere un’occasione davvero unica per costruire, insieme, un futuro di cui possano beneficiare, in primo luogo, le nuove generazioni e che possa aiutare a superare quella crisi (economica e sociale) che le ha accomunate soprattutto dal momento della caduta del confine all’inizio di questo millennio.
Le Chiese di Gorizia e Koper sono pronte a fare la loro parte in questo impegnativo itinerario. Come hanno sottolineato i vescovi Jurij e Carlo nella dichiarazione comune del 18 dicembre scorso, la cultura di queste nostre terre è “segnata in modo fondamentale dalla storia della Chiesa aquileiese di cui le nostre due comunità ecclesiali sono figlie nella fede”. Quella Chiesa aquileiese che aveva saputo divenire riferimento per così ampia parte della MittelEuropa ed oltre.
Quella del 2025 è una sfida che non può essere persa: serviranno senz’altro tanta fantasia ma anche tanta fatica. Ma ne varrà senz’altro la pena.
Mauro Ungaro, direttore Voce Isontina
Jurij Paljk, direttore Novi Glas